Somalia, colpito il pulmino Unicef

Somalia, colpito il pulmino Unicef

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Il cimitero del Mediterraneo è lontano dal Puntland, da quel punto in cima alla Somalia dove ieri è saltato in aria un pulmino dell’Unicef. Eppure i quattro operatori umanitari dilaniati davanti alla sede Onu (due keniani, un ugandese, un afghano) e gli altri quatto feriti (da Uganda, Sierra Leone, Kenya e Usa) lavoravano tutti (nelle cruciali retrovie di un inferno africano) anche per rendere il nostro mare meno tombale.
L’attentato di Garowe è stato rivendicato da Al Shebab, il gruppo che ha firmato la strage dei 150 studenti all’università di Garissa e l’assalto di pochi giorni fa al ministero dell’Istruzione a Mogadiscio. Vittime diverse (studenti, insegnanti, l’agenzia Onu per l’Infanzia), accomunate dalla stessa variegata missione/passione chiamata educazione. Anche i loro carnefici si rivolgono ai minori (al Shebab vuol proprio dire «gioventù») però con obiettivi opposti e totalitari.
«I nostri colleghi hanno dedicato la vita ai bambini della Somalia. Non sono vittime, sono eroi» ha dichiarato il direttore dell’Unicef, Anthony Lake. Gli ha fatto eco il presidente (deludente) Hassan Sheikh Mohamud: «Un attacco al futuro dei bambini somali». È vero che la cosiddetta «Mogadiscio music» (raffiche ed esplosioni quotidiane) non è così diffusa nelle strade di Garowe, centro politico della regione autonoma del Puntland (un terzo del territorio somalo e un terzo degli abitanti). È abbastanza raro che i miliziani islamisti (cinquemila uomini, dal 2012 affiliati ad Al Qaeda) colpiscano la regione, negli anni passati grande base della pirateria. Con il vicino Somaliland, il Puntland è la faccia più pacifica di quel martoriato pezzo d’Africa. Dalle sue coste anni fa partivano migranti diretti in Europa (via Yemen e Paesi Arabi) mentre ora il flusso dei disperati ha cambiato senso di fuga (yemeniti che scappano dalla guerra in patria). Un’oasi, rispetto a Mogadiscio. Anche per questo i terroristi hanno attaccato con più facilità: il pulmino Unicef stava percorrendo la strada dalla guesthouse alla base delle United Nations, tre minuti in tutto. Era arrivato quasi a destinazione. Più che un ordigno sul lato della strada, è probabile (dato lo squarcio nel tetto) che l’esplosivo fosse all’interno del van bianco con la grande scritta azzurra UN sulla fiancata. Forse si è trattato di un kamikaze, forse di una carica innescata con un telecomando.
Un corpo senza vita penzolante dal finestrino, brandelli umani intorno. Almeno 10 vittime (6 somali) e altrettanti feriti. Un puntino, rispetto alle centinaia di vittime che affondano nel Mediterraneo. Un anello di tragedie collegate: stragi come quella che ha colpito ieri l’Unicef allontano gli africani dall’Africa.
Michele Farina

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