Intesa globale Vaticano-Palestina Israele esprime la sua delusione
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CITTÀ DEL VATICANO Quelle tre parole nero su bianco, «Stato di Palestina», hanno fatto presto il giro del mondo. L’«accordo globale» annunciato ieri dalla Santa Sede con lo «Stato di Palestina» — e che rilancia la soluzione «due popoli, due Stati» — sarà firmato «nel prossimo futuro» e avrà conseguenze politiche e pratiche notevoli, mentre il governo israeliano si dice «deluso».
In Vaticano si parla di «continuità»: il riconoscimento dello «status» palestinese c’era fin da quando, il 29 novembre 2012, l’Assemblea generale dell’Onu approvò la risoluzione che accoglieva la Palestina come «Stato osservatore non membro» e la Santa Sede, «osservatore permanente», firmò una dichiarazione a favore. Già dall’Annuario pontificio 2014, riferito al 2013, nell’elenco del corpo diplomatico la voce «Rappresentanza dell’Olp» è stata sostituita dal «rappresentante dello Stato di Palestina». La stessa dicitura compariva l’anno scorso nel programma ufficiale del viaggio in Terra Santa di Francesco e si ripeteva quando il Papa accolse l’8 giugno in Vaticano Abu Mazen e Shimon Peres.
Ma certo l’«accordo globale» è il primo firmato dalla Santa Sede con lo «Stato di Palestina». I rapporti ufficiali nel ‘94 e l’«accordo base» del 15 febbraio 2000 furono sottoscritti con l’Olp. Nel preambolo «si esprime l’auspicio per una soluzione della questione palestinese e del conflitto tra israeliani e palestinesi nell’ambito della soluzione dei due Stati e delle risoluzioni della comunità internazionale, rinviando a un’intesa tra le parti», spiega monsignor Antoine Camilleri, numero tre della Segreteria di Stato che guida la delegazione vaticana. Seppure «in forma indiretta», dice Camilleri all’ Osservatore Romano , si auspica possa «aiutare i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini», e «incoraggiare la comunità internazionale a intraprendere un’azione più incisiva».
Almeno per ora, comunque, resta il «rappresentante» palestinese e il nunzio vaticano in Israele continuerà ad essere anche «delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina». L’accordo riguarda l’attività e il riconoscimento della Chiesa nei Territori, fa notare Camilleri: «La sua libertà di azione, il personale e la giurisdizione, lo statuto personale, i luoghi di culto, l’attività sociale e caritativa, le questioni fiscali e di proprietà». Si spera sia un modello dove i cristiani sono minoranza: «Il fatto che si riconoscano la personalità della Chiesa e la libertà religiosa e di coscienza può essere seguito da altri Paesi, anche a maggioranza musulmana». Del resto procede anche l’intesa con Israele, «l’accordo economico è quasi pronto». Dopodomani il Papa riceverà Abu Mazen, che domenica assisterà in San Pietro alla canonizzazione delle prime due sante palestinesi. Come i predecessori, Francesco aveva invocato a Betlemme la soluzione dei due Stati: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento».
Gian Guido Vecchi
In Vaticano si parla di «continuità»: il riconoscimento dello «status» palestinese c’era fin da quando, il 29 novembre 2012, l’Assemblea generale dell’Onu approvò la risoluzione che accoglieva la Palestina come «Stato osservatore non membro» e la Santa Sede, «osservatore permanente», firmò una dichiarazione a favore. Già dall’Annuario pontificio 2014, riferito al 2013, nell’elenco del corpo diplomatico la voce «Rappresentanza dell’Olp» è stata sostituita dal «rappresentante dello Stato di Palestina». La stessa dicitura compariva l’anno scorso nel programma ufficiale del viaggio in Terra Santa di Francesco e si ripeteva quando il Papa accolse l’8 giugno in Vaticano Abu Mazen e Shimon Peres.
Ma certo l’«accordo globale» è il primo firmato dalla Santa Sede con lo «Stato di Palestina». I rapporti ufficiali nel ‘94 e l’«accordo base» del 15 febbraio 2000 furono sottoscritti con l’Olp. Nel preambolo «si esprime l’auspicio per una soluzione della questione palestinese e del conflitto tra israeliani e palestinesi nell’ambito della soluzione dei due Stati e delle risoluzioni della comunità internazionale, rinviando a un’intesa tra le parti», spiega monsignor Antoine Camilleri, numero tre della Segreteria di Stato che guida la delegazione vaticana. Seppure «in forma indiretta», dice Camilleri all’ Osservatore Romano , si auspica possa «aiutare i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini», e «incoraggiare la comunità internazionale a intraprendere un’azione più incisiva».
Almeno per ora, comunque, resta il «rappresentante» palestinese e il nunzio vaticano in Israele continuerà ad essere anche «delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina». L’accordo riguarda l’attività e il riconoscimento della Chiesa nei Territori, fa notare Camilleri: «La sua libertà di azione, il personale e la giurisdizione, lo statuto personale, i luoghi di culto, l’attività sociale e caritativa, le questioni fiscali e di proprietà». Si spera sia un modello dove i cristiani sono minoranza: «Il fatto che si riconoscano la personalità della Chiesa e la libertà religiosa e di coscienza può essere seguito da altri Paesi, anche a maggioranza musulmana». Del resto procede anche l’intesa con Israele, «l’accordo economico è quasi pronto». Dopodomani il Papa riceverà Abu Mazen, che domenica assisterà in San Pietro alla canonizzazione delle prime due sante palestinesi. Come i predecessori, Francesco aveva invocato a Betlemme la soluzione dei due Stati: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento».
Gian Guido Vecchi
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