“La Libia è piena di crudeltà”

“La Libia è piena di crudeltà”

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Per Philip Luther, direttore per l’Africa del Nord e il Medioriente, è inutile bombardare gli scafisti senza predisporre rotte alternative e sicure. Appello a Tunisia ed Egitto affinché aprano le frontiere per accogliere i rifugiati

Quand’anche l’Europa tro­vasse un accordo per bom­bar­dare l’obiettivo sba­gliato — lo sca­fi­sta, dipinto come il male asso­luto — il “pro­blema” in Libia non sarebbe risolto. Non si arre­ste­rebbe la conta dei morti (i migranti mori­ranno lon­tano dal canale di Sici­lia, se può essere di con­so­la­zione) e cer­ta­mente non ter­mi­ne­reb­bero le sof­fe­renze per migliaia di per­sone che fug­gono da fame e guerre. “Imple­men­tare misure per con­tra­stare i traf­fi­canti senza for­nire un’alternativa alle per­sone che scap­pano dal con­flitto in Libia non risol­verà la piaga dei migranti”, dice il diret­tore di Amne­sty Inter­na­tio­nal per il Medio Oriente e Nord Africa Phi­lip Luther.

Non sono lamen­tose con­si­de­ra­zioni, è la realtà che Amne­sty Inter­na­tio­nal ha inda­gato con il suo nuovo rap­porto inti­to­lato “La Libia è piena di cru­deltà”. Si leg­gono i motivi poli­tici e sto­rici che spin­gono i migranti a sfi­dare la morte nel Medi­ter­ra­neo per arri­vare in Europa — niente che non sia già noto a Fede­rica Moghe­rini e ai mini­stri della Ue — ma anche diverse testi­mo­nianze di abusi, vio­lenze ses­suali, tor­ture e per­se­cu­zioni reli­giose. Il testo con­tiene anche un appello alla Tuni­sia e all’Egitto affin­ché allar­ghino le maglie alle fron­tiere per per­met­tere a migranti di lasciare la Libia (traf­fi­canti e bande cri­mi­nali hanno rubato i loro pas­sa­porti e anche per que­sto non pos­sono fare altro che imbar­carsi per lasciare il paese).

Le indi­ci­bili con­di­zioni in cui si tro­vano i migranti insieme alla cre­scente assenza di lega­lità e ai con­flitti armati in corso nel paese — dice Phi­lip Luther — ren­dono evi­dente quanto sia peri­co­loso oggi vivere in Libia. Senza per­corsi legali per fug­gire e cer­care sal­vezza, que­ste per­sone sono costrette a met­tersi nelle mani dei traf­fi­canti, che le sot­to­pon­gono a estor­sioni, attac­chi e altri abusi”. Il rap­porto non fa sconti alla comu­nità inter­na­zio­nale, accu­sata di essere rima­sta a guar­dare la Libia “discen­dere nel caos” dopo la fine dell’intervento della Nato del 2011. Ormai è diven­tato il prin­ci­pale paese di tran­sito per i rifu­giati in fuga dai con­flitti dell’Africa sub saha­riana e del Medio­riente. Non è più pos­si­bile chiu­dere gli occhi, dice l’associazione, e limi­tarsi a distrug­gere le imbar­ca­zioni dei traf­fi­canti senza pre­di­sporre rotte alter­na­tive e sicure e senza “adot­tare misure con­crete per affron­tare le gravi vio­la­zioni dei diritti umani e del diritto uma­ni­ta­rio com­messe da tutte le parti coin­volte nel con­flitto libico”.

I rifu­giati di reli­gione cri­stiana sono i più a rischio. Pro­ven­gono da Nige­ria, Eri­trea, Etio­pia ed Egitto. Sono stati rapiti, tor­tu­rati, uccisi e per­se­gui­tati. “Ulti­ma­mente — si legge nel rap­porto di Amne­sty Inter­na­tio­nal — almeno 49 cri­stiani, per lo più pro­ve­nienti dall’Egitto e dall’Etiopia, sono stati deca­pi­tati o fuci­lati in tre ese­cu­zioni som­ma­rie di massa riven­di­cate dal gruppo Stato isla­mico”. Non è dif­fi­cile rac­co­gliere testi­mo­nianze come quella di Char­les, un cri­stiano nige­riano di trent’anni aggre­dito da una banda cri­mi­nale lungo le coste libi­che: “Arri­va­vano, ci ruba­vano i soldi e ci fru­sta­vano. Non potevo far pre­sente alla poli­zia il mio credo cri­stiano per­ché quelli come noi non gli piac­ciono. Nell’ottobre del 2014 sono stato seque­strato da quat­tro uomini armati che si erano accorti che avevo con me una bib­bia”. Lo hanno tor­tu­rato per due giorni, poi è riu­scito a scap­pare da una fine­stra. Que­sto per dire che “i lea­der euro­pei devono assi­cu­rare che i migranti in fuga non siano mai riman­dati indie­tro in Libia”.

Le per­se­cu­zioni lungo le rotte dei traf­fi­canti non sono solo di natura reli­giosa. I migranti che pro­ven­gono dalle zone sub saha­riane, com­presi i minori, durante il tra­gitto “ven­gono tor­tu­rati per costrin­gere loro e le loro fami­glie a pagare un riscatto”. Chi non può rice­vere denaro viene ridotto in schia­vitù. Le donne, soprat­tutto quelle che viag­giano sole, rischiano di essere stu­prate, “ven­gono obbli­gate a fare sesso in cam­bio del rila­scio o del per­messo di pro­se­guire”. Ci sono molte testi­mo­nianze. “Mi hanno por­tato fuori città — ha rac­con­tato una nige­riana — hanno legato mio marito a un palo per le mani e le cavi­glie e mi hanno stu­prato davanti ai suoi occhi, erano in tutto undici”. Con l’arrivo in Libia, in attesa di sal­pare su qual­che imbar­ca­zione di for­tuna, la situa­zione non cam­bia. I migranti ven­gono segre­gati anche tre mesi in case diroc­cate, senza acqua né cibo. Alcuni rifu­giati siriani hanno rac­con­tato di essere stati tra­spor­tati in fur­goni fri­go­ri­feri in cui pas­sava poca aria: “Due bam­bini hanno ini­ziato a sof­fo­care e hanno smesso di respi­rare, i geni­tori li schiaf­feg­gia­vano per far­gli ripren­dere cono­scenza. Noi bat­te­vamo sulle pareti ma l’autista non si fer­mava, in seguito i bam­bini si sono ripresi”. Infine, i cen­tri di deten­zione per i migranti, “le cui con­di­zioni sono ter­ri­bili e in cui la tor­tura è la regola”. Per­cosse quo­ti­diane, “con tubi di gomma die­tro le cosce”, e stu­pri ripe­tuti per mesi. Le auto­rità libi­che “devono imme­dia­ta­mente porre fine alla siste­ma­tica deten­zione di migranti”, con­clude Phi­lip Luther.

Amne­sty Inter­na­tio­nal, all’Europa, “ai paesi ric­chi”, chiede di più: “Il mondo non può con­ti­nuare ad igno­rare il suo obbligo di con­ce­dere asilo a chiun­que fugga da tale abuso terribile”.



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