La rimozione del lavoro dall’Expo 2015

La rimozione del lavoro dall’Expo 2015

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Un’esposizione uni­ver­sale che si inau­gura durante la festa del Primo mag­gio avrebbe potuto e dovuto dare uno spa­zio anche ai temi del lavoro. La disoc­cu­pa­zione, l’impoverimento dei lavo­ra­tori e la pre­ca­rietà dila­gante sono infatti que­stioni cru­ciali e irri­solte del tempo pre­sente, almeno nella vec­chia Europa. In Ita­lia, il paese che ospita l’Expo, que­sti feno­meni rag­giun­gono dimen­sioni ancora mag­giori che altrove.

In pas­sato è acca­duto che un’esposizione uni­ver­sale abbia dato risalto ai temi sociali. Poco più di un secolo fa, durante l’Esposizione inter­na­zio­nale del Sem­pione, svol­tasi a Milano nel 1906 e dedi­cata all’argomento dei tra­sporti, venne dato ampio risalto ai temi della pre­vi­denza sociale e del lavoro. In quella occa­sione la Società Uma­ni­ta­ria di Milano curò un padi­glione dedi­cato ai pro­blemi sociali, e orga­nizzò con­te­stual­mente due con­ve­gni inter­na­zio­nali, uno sull’assistenza pub­blica e pri­vata, a mag­gio, e uno sulla disoc­cu­pa­zione, in ottobre.

Quest’ultimo fu il primo nel suo genere, e con­tri­buì a sot­to­li­neare per la prima volta l’esistenza del pro­blema dei lavo­ra­tori disoc­cu­pati, con l’obiettivo di met­tere in con­tatto un gruppo di rifor­mi­sti e di spe­cia­li­sti della mate­ria capaci di pre­di­sporre stru­menti di con­tra­sto al feno­meno.
Il primo con­gresso inter­na­zio­nale con­tro la disoc­cu­pa­zione si col­locò in un momento di ascesa del movi­mento socia­li­sta e del sin­da­cato: in quello stesso anno, non a caso, nac­que in Ita­lia la Con­fe­de­ra­zione gene­rale del lavoro.

All’inizio del Nove­cento l’idea che la disoc­cu­pa­zione fosse un feno­meno invo­lon­ta­rio e non il frutto di una scarsa pro­pen­sione al lavoro era ancora un’acquisizione recente e precaria.

Se oggi­giorno, in tempo di crisi eco­no­mica, appare nor­male par­lare di disoc­cu­pa­zione (nono­stante la sua defi­ni­zione a livello sta­ti­stico sia con­tro­versa e le pro­po­ste avan­zate per con­tra­starla siano diver­genti), c’è stata una fase della sto­ria del capi­ta­li­smo durante la quale il pro­blema dei senza lavoro, scon­fi­nando nel più ampio tema del pau­pe­ri­smo, non era per­ce­pito come un feno­meno degno di par­ti­co­lare atten­zione e di cui la col­let­ti­vità e i pub­blici poteri doves­sero farsi pie­na­mente carico.

Solo in occa­sione del con­gresso di Milano del 1906 venne defi­ni­ti­va­mente messa da parte la vec­chia let­tura mora­li­stica della disoc­cu­pa­zione, intesa come colpa indi­vi­duale o come incli­na­zione all’ozio. In altri ter­mini, venne per la prima volta rico­no­sciuto il carat­tere invo­lon­ta­rio della con­di­zione del disoccupato.

Non è del tutto fuor­viante fare un con­fronto fra la situa­zione attuale e quella di ini­zio Nove­cento: gli anni che stiamo vivendo, infatti, se para­go­nati alla quella fase della sto­ria del capi­ta­li­smo, sem­brano carat­te­riz­zati da un pro­cesso alla rove­scia, alla fine del quale quello che rischia di pro­fi­larsi è un offu­sca­mento delle que­stioni sociali e del dramma della disoc­cu­pa­zione involontaria.

Oggi, in Ita­lia e in Europa, la disoc­cu­pa­zione sem­bra essere vis­suta dai gover­nanti come l’ultimo dei problemi.

È ormai da decenni, d’altra parte, che la poli­tica eco­no­mica ha smesso di per­se­guire un’occupazione piena e di qua­lità. Lo rivela l’accettazione quasi acri­tica, da parte degli orga­ni­smi gover­na­tivi, del con­cetto di «disoc­cu­pa­zione natu­rale»: esi­ste­rebbe, secondo la teo­ria eco­no­mica pre­va­lente, un livello di disoc­cu­pa­zione strut­tu­rale (cioè natu­rale) ine­li­mi­na­bile, non com­pri­mi­bile a meno di non creare inflazione.

Que­sto tasso di disoc­cu­pa­zione «natu­rale» in Ita­lia è oggi sti­mato intorno all’11%. L’Italia e l’Europa di oggi, si potrebbe dire, sono giunte a una sorta di «coe­si­stenza paci­fica» con la disoc­cu­pa­zione a due cifre.

In que­sto sce­na­rio la man­canza di un rife­ri­mento ai temi del lavoro nell’ambito dell’Expo 2015 è pur­troppo in sin­to­nia con lo spi­rito dei tempi.


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