L’offensiva del Califfo corre sull’autostrada dei turisti da Palmira al cuore del regime

by redazione | 24 Maggio 2015 9:43

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I muri delle case di Qardaha sono ormai tappezzati di annunci mortuari. La grande maggioranza dei defunti sono giovani uomini, soldati caduti dal 2011 ad oggi. Centinaia e centinaia, il fior fiore della gioventù alauita sacrificata nei combattimenti contro la ribellione sunnita prima e adesso soprattutto nella guerra all’ultimo sangue con i jihadisti di Isis. Non è strano. Qardaha, meno di 9.000 abitanti, è il villaggio natale del clan degli Assad, al potere in Siria dal 1970. Più volte il presidente Bashar e la sua nomenklatura hanno lasciato capire che, se Damasco fosse minacciata direttamente, la loro ultima battaglia sarà proprio qui, nel luogo delle loro radici, al cuore della regione costiera tra Latakia e il porto militare-commerciale di Tartus, storicamente utilizzato dalla marina da guerra russa come base importante nel Mediterraneo.
Che sia dunque giunto il momento di guardare a Qardaha? E’ possibile. La conquista di Palmira da parte dei jihadisti del Califfato apre un nuovo fronte, più minaccioso che mai per il regime. Assad può contare solo sui fedeli alauiti (meno del 15 per cento della popolazione totale) — oltre ad ampi settori delle minoranze cristiane — ma negli ultimi giorni ne sarebbero morti altri 500. Dalle antiche rovine nel pieno del deserto alla capitale sono 240 chilometri di autostrada. Una decina d’anni orsono era stata ampliata, l’asfalto rifatto, per facilitare il traffico commerciale con l’Iraq e soprattutto l’afflusso dei turisti stranieri. L’Isis senza dubbio ne approfitterà. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, l’organizzazione che dall’Inghilterra monitora quotidianamente gli eventi nel Paese, segnala che le cellule pro-Isis dalla zona di Homs, a sua volta collegata direttamente con Palmira, hanno già rilanciato la guerriglia. Si combatte attorno alla base militare di Tayfour e presso la cittadina di Al Sawana. Presi di mira sono anche gli impianti di estrazione di greggio e gas, che si trovano nella regione.
L’esercito di Assad appare in grave difficoltà e sulla difensiva. Nel gennaio 2011, prima dello scoppio delle rivolte, era tra i più forti del Medio Oriente, con oltre 325.000 soldati ben armati. Oggi si calcola che tra defezioni, ammutinamenti e perdite sarebbe sceso al di sotto dei 180.000 effettivi, cui si sarebbero aggiunti circa 100.000 volontari, che però risultano più esperti nelle crudeltà contro i civili che nei combattimenti con una guerriglia sempre più determinata.
L’Isis si rivela un nemico dalle mille teste. Nella regione di Damasco tra marzo e aprile è riuscito a stringere un’alleanza instabile con i qaedisti di Al Nusra, che ha gli ha permesso di infiltrare il grande campo palestinese di Yarmouk e addirittura la cittadina di Duma. Anche lungo il confine con la Turchia e il settore di Aleppo l’esercito lealista appare a mal partito. Idlib, Eriha, Jisr Al Shugur sono alcune delle roccaforti dove ha dovuto ritirarsi e con forti perdite. La situazione è talmente grave che lo stesso Hassan Nasrallah, leader dell’Hezbollah (il «Partito di Dio» sciita libanese sostenuto dall’Iran) ormai dichiara apertamente che le sue milizie combattono in Siria contro l’Isis. Le ultime battaglie sulle montagne di Qalamoun sono sostanzialmente mirate a garantire il controllo della frontiera sulla strada tra Damasco e Beirut. Ma la perdita di Palmira offre mille incognite. E Qardaha potrebbe diventare presto la Fort Alamo di Assad .
Lorenzo Cremonesi
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