«Perché noi di Slow Food, Expocritici, ci saremo nonostante McDonald’s»

by redazione | 1 Maggio 2015 9:40

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Gae­tano Pascale, 47 anni, da più di un anno è pre­si­dente di Slow Food. Non ha certo biso­gno dell’avvocato difen­sore, ma un pro­blema c’è: per la prima volta l’associazione inter­na­zio­nale no pro­fit impe­gnata a ridare il giu­sto valore al cibo si trova costretta a giu­sti­fi­carsi per quella che è senza dub­bio la scelta più con­tro­versa della sua sto­ria quasi tren­ten­nale. Sta comin­ciando l’esposizione uni­ver­sale e Slow Food ha accet­tato la sfida. «Ci occu­piamo di cibo da trent’anni, non è che abbiamo aspet­tato l’Expo».

Veniamo al dun­que. Cosa ci fate di fianco a McDonald’s?

Pur­troppo non abbiamo potuto deci­dere chi poteva o non poteva par­te­ci­pare all’Expo. Anni fa, quando è nata l’idea dell’esposizione uni­ver­sale, ancora prima che venisse asse­gnata a Milano, come Slow Food abbiamo cer­cato di far pre­va­lere alcune sug­ge­stioni che nulla ave­vano a che fare con le poli­ti­che delle mul­ti­na­zio­nali. Oggi, pur­troppo, pos­siamo dire che i nostri sug­ge­ri­menti non sono stati presi in con­si­de­ra­zione. Carlo Petrini si era anche espo­sto in prima per­sona, con accenti molto polemici.

A mag­gior ragione, per­ché partecipare?

La nostra asso­cia­zione ne ha discusso a lungo. Innan­zi­tutto abbiamo pen­sato che l’evento ci sarebbe stato in ogni caso, si trat­tava di deci­dere se in quel con­te­sto avesse senso dare voce a chi il pia­neta sta cer­cando di nutrirlo vera­mente, e certo non per sod­di­sfare una logica di pro­fitto. L’alternativa era restare fuori da Expo col rischio di riu­scire a comu­ni­care solo con il nostro pub­blico, stando den­tro invece faremo da mega­fono pro­prio per sot­to­li­neare le con­trad­di­zioni più stri­denti di que­sto evento.

Che ruolo pen­sate di poter rico­prire lad­dove sicu­ra­mente det­tano legge le mul­ti­na­zio­nali dell’agroalimentare?

Siamo in mezzo a dei giganti, lo sap­piamo, ma siamo con­vinti che anche loro in qual­che modo siano tenuti ad ascol­tarci. Non riu­sci­remo certo a demo­lirle, e non ne abbiamo mai avuto l’intenzione, ma credo che anche le mul­ti­na­zio­nali potreb­bero essere costrette a diven­tare un po’ più vir­tuose. Nei pros­simi sei mesi le per­sone che visi­te­ranno l’Expo saranno tan­tis­sime, in fondo è chi decide come fare la spesa che deter­mina il suc­cesso di un modello pro­dut­tivo. Dif­fon­dere cono­scenza e con­sa­pe­vo­lezza è molto impor­tante e noi avremo l’opportunità di avvi­ci­nare le per­sone meno pre­pa­rate, di solito abbiamo a che fare con un pub­blico più con­sa­pe­vole ma nume­ri­ca­mente incon­si­stente rispetto al numero di visi­ta­tori pre­vi­sti per l’Expo. Que­sta con­si­de­ra­zione ci ha con­vinto ad essere pre­senti. Ma non solo. La man­cata con­cre­tiz­za­zione di un modello ali­men­tare più soste­ni­bile è dovuta anche al fatto che le nor­ma­tive oggi pena­liz­zano le pro­du­zioni su pic­cola scala per favo­rire le grandi indu­strie. Quale migliore occa­sione potremmo mai avere per incon­trare i sog­getti isti­tu­zio­nali chia­mati a legi­fe­rare sul com­parto agroa­li­men­tare? Con loro vogliamo confrontarci.

Non crede che per Slow Food possa suben­trare qual­che pro­blema a livello di imma­gine? C’è già qual­che Expo-scettico, per esem­pio, che vi asso­cia al feno­meno Eataly di Oscar Fari­netti. Non sono realtà para­go­na­bili, ma non vi siete inter­ro­gati sul fatto che per la prima volta dopo decenni qual­cuno possa met­tervi in discussione?

Le obie­zioni e le cri­ti­che aiu­tano sem­pre a ragio­nare, a patto che siano fatte con one­stà. Non ha senso acco­stare que­ste due espe­rienze per muo­vere la stessa cri­tica, sono due sog­getti che si rispet­tano ma sono diversi. Eataly rico­pre un ruolo anche impor­tante che pos­siamo chia­mare di edu­ca­zione alla qua­lità ali­men­tare. Ma è un’azienda, noi siamo un’associazione che oltre a pun­tare sull’alimentazione di qua­lità impo­sta un discorso di natura eco­no­mica a tutto van­tag­gio dei pic­coli pro­dut­tori che fati­cano a stare sul mer­cato. Non siamo pre­oc­cu­pati per la nostra imma­gine, noi siamo sem­pre impe­gnati per cam­biare un sistema ali­men­tare che non fun­ziona, ecco per­ché stiamo den­tro l’Expo.

Avete un padi­glione tutto vostro?

Sì, uno spa­zio grande, sono 3.500 metri qua­drati. L’allestimento è tutto con mate­riale ricol­lo­ca­bile altrove, in que­sti mesi rac­co­glie­remo idee e pro­po­ste su come riu­ti­liz­zare le strut­ture dopo l’Expo. Ci saranno mostre inte­rat­tive dedi­cate al tema della bio­di­ver­sità, una sorta di “albero del cibo” col­let­tivo, un luogo che giorno dopo giorno si arric­chirà con piante por­tate dai visi­ta­tori, un orto per­ma­nente con atti­vità per adulti e bam­bini, e anche un tea­tro per i dibat­titi e le con­fe­renze dedi­cate a tutto ciò che ruota attorno alla cul­tura ali­men­tare. In più, natu­ral­mente, ci saranno diversi spazi di degu­sta­zione, ma abbiamo deciso di pun­tare soprat­tutto sui for­maggi con una mostra-mercato dedi­cata a 84 pro­dotti diversi pro­ve­nienti da tutti i paesi del mondo. Parte degli incassi ser­virà anche a finan­ziare alcuni nostri pro­getti di soli­da­rietà. Ne abbiamo uno che è par­tito un anno e mezzo fa, si chiama “10 mila orti per l’Africa”, ne abbiamo già rea­liz­zati mille e pen­siamo di cen­trare l’obiettivo nel 2018.

Per­ché avete pun­tato pro­prio sui for­maggi per la degustazione?

Per­ché la filiera lattiero-casearia illu­stra meglio di altre un sistema che così com’è non regge più: il prezzo del latte è sta­bi­lito a livello mon­diale, ma con lo stesso ele­mento lavo­rano pic­coli casei­fici con pro­du­zioni di nic­chia e di alta qua­lità e grandi aziende con pro­du­zioni inten­sive. C’è chi soprav­vive a stento e chi spe­cula su un pro­dotto di qua­lità non pro­prio eccelsa, que­sto è un set­tore esem­plare per affer­mare il prin­ci­pio che è fon­da­men­tale soste­nere sem­pre le pic­cole produzioni.

L’Expo comin­cia pro­prio il giorno della festa del lavoro.

Noi comin­ce­remo il seme­stre con due con­fe­renze sul lavoro di qua­lità, saranno dibat­titi a più voci per far emer­gere tutte le pro­ble­ma­ti­che rela­tive al lavoro nero in agri­col­tura e nella pro­du­zione di cibo.

L’atto del man­giare ormai si è ele­vato al rango di rito. Si man­gia ma soprat­tutto si spe­cula, si medita e si chiac­chiera di cibo e attorno al cibo come non era mai acca­duto prima. Sem­bra quasi che gli ali­menti abbiano sosti­tuito le idee. Crede che dopo que­sta orgia ci dovremo pre­pa­rare a una sorta di crisi da rigetto? Cosa rimarrà dopo l’abbuffata?

Sì, è vero. La mia gene­ra­zione è cre­sciuta con l’idea che il cibo ser­viva prin­ci­pal­mente per nutrirsi, l’aspetto qua­li­ta­tivo degli ali­menti era poco con­si­de­rato. Le cose sono cam­biate. Oggi, pur­troppo, con­stato con una certa tri­stezza che il cibo, e i discorsi sul cibo, sono diven­tati il sim­bolo di una società che sta per­dendo di vista i diritti delle per­sone che non pos­sono per­met­tersi il nostro tenore di vita. Nes­suno si indi­gna per il fatto che men­tre ad alcuni viene garan­tito il super­fluo ad altri viene negato anche il diritto stesso alla soprav­vi­venza. L’Expo dovrebbe pun­tare i riflet­tori pro­prio su que­sta sof­fe­renza, ci sono per­sone che non pos­sono man­giare e altre che con­su­mano in maniera asso­lu­ta­mente scri­te­riata. Il pia­neta con­suma una fetta delle pro­prie risorse per sfa­mare solo una parte della popo­la­zione, è un sistema che non può reg­gere all’infinito, anche se il con­su­ma­tore tipo con­ti­nua a fare scelte asso­lu­ta­mente incon­sa­pe­voli. Spero che tutti que­sti discorsi sul cibo, nel tempo, rie­scano almeno a dif­fon­dere la con­sa­pe­vo­lezza che è neces­sa­rio rie­qui­li­brare e distri­buire le risorse per ridare valore al lavoro di chi vuole pro­durre cibo di qua­lità in tutto il mondo, che siano gio­vani con­ta­dini o gio­vani pesca­tori. È un fatto di giu­sti­zia sociale. Que­sti discorsi noi li fac­ciamo da trent’anni. Tra sei mesi ci augu­riamo di essere un po’ meno soli a farli.

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