Rom, la paura e l’odio. Salvini soffia sul fuoco

by redazione | 29 Maggio 2015 9:49

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Paura. In quel «male­detto» campo della Mona­china, al chi­lo­me­tro 13 della via Aure­lia, (l’aggettivo è di Mat­teo Sal­vini, ma sot­to­scritto anche da chi ci vive) la paura delle fami­glie rom è pal­pa­bile. La notte tra mer­co­ledì e gio­vedì l’hanno pas­sata pra­ti­ca­mente in bianco e molti bam­bini ieri mat­tina non sono andati a scuola. Troppa poli­zia, troppa agi­ta­zione per la tra­ge­dia che si è con­su­mata poco lon­tano da quelle barac­che, che sono auto­riz­zate ancor­ché con­si­de­rate da vent’anni — e da tutte le giunte, di destra e di sini­stra — «provvisorie».

Una donna filip­pina morta, Perez Cora­zon Abordo, otto feriti: un omi­ci­dio, uno scem­pio di cui si sono mac­chiati per­so­naggi che disgra­zia­ta­mente vivono nel loro stesso campo e por­tano il loro stesso stigma di «zin­garo». E hanno ragione ad avere paura: al grido di bat­ta­glia di Sal­vini affi­dato ieri mat­tina a Face­book — «Quando tor­ne­remo al governo, rade­remo al suolo uno per uno tutti ‘sti male­detti Campi Rom, par­tendo da quelli abu­sivi» — hanno rispo­sto in molti, a sera, con una mani­fe­sta­zione aggres­siva, con un tri­pu­dio di tri­co­lori die­tro lo stri­scione «Basta vio­lenze Rom, Marino vattene».

Giu­sto qual­che cen­ti­naio di per­sone, certo, ma già troppi per met­terci la fac­cia. «Zin­garo ladro assas­sino», «Inve­stiamo i zin­gari per strada»: la fer­mata della Metro A di Bat­ti­stini dove da tempo cam­peg­gia lo stri­scione «Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò», è gia piena di ade­sivi raz­zi­sti, quando alle sei di sera comin­ciano a radu­narsi gli abi­tanti della bor­gata Pri­ma­valle che hanno rispo­sto all’appello di «Noi con Sal­vini» e Fra­telli d’Italia, con­cen­tran­dosi nel luogo dove è avve­nuta la tra­ge­dia. In tanti sven­to­lano car­telli con su scritto: «E adesso ditelo alle fami­glie che state lavo­rando per l’integrazione». Fin qui tutti d’accordo.

Ma poi arri­vano i mili­tanti romani del Car­roc­cio con i car­telli della nuova topo­no­ma­stica di «Roma è con Sal­vini»: «Via Marino», «Via Renzi» e «Largo Sal­vini». E a que­sto punto è quasi rissa: il popolo destrorso della capi­tale non ce la fa pro­prio a dige­rire i padani alla con­qui­sta della città eterna. «Que­sta non è una mani­fe­sta­zione poli­tica, state stru­men­ta­liz­zando le nostre tra­ge­die», urlano da una parte. E dall’altra: «Chie­diamo giu­sti­zia, qui non sta spe­cu­lando nes­suno, por­tiamo la soli­da­rietà ai feriti e alla fami­glia della donna morta». Per oggi si può sopras­se­dere al fatto che sia stata un’immigrata, uscita con la morte dal cal­de­rone degli «immi­grati tutti a casa loro». Per oggi ci si può con­cen­trare su altro. «Ai campi damoje foco», «nes­suno toc­chi il popolo ita­liano», o nel migliore dei casi: «Basta, o si inte­grano e se ne vanno».

Un po’ in disparte, alcuni espo­nenti della comu­nità filip­pina che accom­pa­gnano la sorella della vit­tima, depo­si­tano fiori e accen­dono lumini, silen­ziosi e chiusi nel loro dolore.

In molti però guar­dano ma non si avvi­ci­nano. Al bar dell’angolo c’è chi ammette: «Avrei voluto par­te­ci­pare alla mani­fe­sta­zione, ma poi ho saputo che arri­va­vano quelli di estrema destra e c’ho rinun­ciato». Le discus­sioni si accen­dono, si fanno per­fino aspre: «C’è chi vor­rebbe andare a spia­nare il campo Rom della Mona­china, ma è come se andas­simo a radere al suolo la bor­gata dove viveva lo stu­pra­tore della tas­si­sta romana», prova a soste­nere qual­cuno. Ma è in mino­ranza. I più ripe­tono il refrain sal­vi­niano che pro­mette di «risol­vere» il «pro­blema dei 30–40 mila Rom che vivono nei campi, per­ché non è pos­si­bile — dice il lea­der padano — che uno viva nei campi e abbia 25 auto inte­state, come leggo sui giornali».

E pazienza se nei sette campi attrez­zati di Roma vivano 7 mila per­sone, un migliaio circa in quelli auto­riz­zati ma non attrez­zati, come la Mona­china (dove ci sono solo i wc chi­mici e un paio di fon­ta­nelle), e si stima altri 3 mila circa che vivono in inse­dia­menti abu­sivi. Dei 10 mila Rom romani, il 40% è mino­renne, e «per i campi auto­riz­zati — spiega Mar­cello Zui­nisi, dell’associazione Nazione Rom — il Cam­pi­do­glio paga ogni anno 23 milioni di euro. Se ci fosse la volontà, con tutti que­sti soldi in sei mesi si tro­ve­rebbe una solu­zione strut­tu­rale defi­ni­tiva per le fami­glie». Ma tutto que­sto ha poco o nulla a che vedere con i com­por­ta­menti cri­mi­nali dei singoli.

Il mini­stro Alfano lo sa e infatti si tiene sui binari della pena esem­plare: «Non avranno scampo, li pren­de­remo e non avranno nes­suno sconto da parte dello Stato. Paghe­ranno caro e fino in fondo per quello che hanno fatto».

Anche il sin­daco Marino, da Phi­la­del­phia dove è in tra­sferta, annun­cia la costi­tu­zione del Cam­pi­do­glio come parte civile, ed esprime sen­ti­menti di vici­nanza alla fami­glia della vit­tima: «Siamo davanti a una ter­ri­bile disgra­zia umana e di tutta la città, a un omi­ci­dio volon­ta­rio che va per­se­guito con la mas­sima infles­si­bi­lità, visto che gli inve­sti­tori hanno acce­le­rato invece di fre­nare davanti a chi attra­ver­sava la strada. Chiedo che sia fatta giu­sti­zia, in maniera rapida e severa». La mani­fe­sta­zione si con­clude senza inci­denti ma l’appuntamento davanti alle tele­ca­mere è per la sera, in tv, con il grande show dell’“etnicizzazione del reato”.

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