Aiuti all’Iraq, ma niente truppe Non decolla l’alleanza anti Isis

by redazione | 3 Giugno 2015 9:08

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PARIGI Dopo 10 mesi di guerra e 4.000 mila raid aerei condotti dagli alleati, lo Stato islamico controlla circa un terzo dell’Iraq, due terzi della Siria e nelle ultime settimane ha conquistato le città non solo simbolicamente importanti di Ramadi e Palmira. Non c’è da stupirsi quindi se la riunione ristretta della coalizione anti Isis, ieri a Parigi, si sia svolta in un’atmosfera poco entusiasta.
L’incontro al Quai d’Orsay si è chiuso con l’appoggio degli alleati al nuovo piano presentato dal primo ministro iracheno Haider al Abadi per riconquistare Ramadi e tutta la provincia di Al Anbar. Il vicesegretario di Stato americano Anthony Blinken lo ha giudicato «un buon piano dal punto di vista militare e politico», dove per «politico» si intende la promessa irachena di appoggiarsi più alle tribù locali che alle milizie sciite controllate dall’Iran. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha ribadito poi la «determinazione totale» a proseguire la campagna «di lungo termine» contro l’Isis. Nessun radicale cambio di strategia dunque. Dell’ipotesi di inviare truppe di terra «non si è nemmeno parlato», ha chiarito il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni.
Apparentemente si continua così, quindi, ma dietro le quinte i motivi di disaccordo sono molti, e alcuni li ha esposti con poco diplomatica franchezza il premier iracheno prima dell’inizio ufficiale della riunione: «Quanto al sostegno all’Iraq ci sono molte parole e pochi fatti — ha detto al Abadi a un gruppo di giornalisti —. La comunità internazionale sta fallendo, e non riesce a controllare i combattenti stranieri che costituiscono ormai il 60% delle forze dell’Isis». Il premier iracheno lamenta poi che la coalizione non gli ha fatto arrivare le armi e munizioni promesse. Ci chiedete di sopportare tutto lo sforzo militare a terra, dice in sostanza l’Iraq, ma non ci fornite i mezzi adeguati.
Gli alleati d’altro canto hanno molto da rimproverare al governo al Abadi, non solo la sua scarsa determinazione nel difendere Ramadi. Qui entra in gioco la guerra tra sciiti e sunniti che attraversa tutto il Medio Oriente, e il premier iracheno (sciita moderato) è criticato per il costante errore politico di appoggiarsi solo sulla maggioranza sciita e sulle milizie agli ordini di Teheran.
Al Abadi ha promesso che cercherà di reintegrare i sunniti, ma il loro leader Jamal al Dhari non gli crede: «Al Abadi è un fantoccio dell’Iran. E gli iracheni non vogliono certo sbarazzarsi dello Stato islamico (sunnita, ndr ) per vederlo rimpiazzato da Qasem Soleimani (il comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane, ndr )».
Quanto alla Siria, «abbiamo constatato che la posizione di Bashar al Assad è più fragile che mai, è il momento della soluzione politica», ha detto il ministro Gentiloni. Difficile però trovare gli interlocutori, visto che l’Isis e Assad si sono alleati di fatto nell’obiettivo di distruggere l’opposizione non jihadista. L’account Twitter dell’ambasciata Usa a Damasco scrive che «il regime sta conducendo raid aerei in appoggio all’avanzata dell’Isis verso Aleppo». Senza un intervento alleato più efficace, la seconda città siriana rischia di diventare il nuovo grande successo dello Stato islamico.
Stefano Montefiori
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