Aldo Bonomi: «Renzi non capisce la società di mezzo»

Aldo Bonomi: «Renzi non capisce la società di mezzo»

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Il sociologo Aldo Bonomi autore, tra l'altro, di "Capitalismo in/finito" (Einaudi)
Il socio­logo Aldo Bonomi autore, tra l’altro, di “Capi­ta­li­smo in/finito” (Einaudi)

Per il socio­logo Aldo Bonomi Renzi non capi­sce la società di mezzo. «Nel Nord-Est parla ai vin­centi della glo­ba­liz­za­zione — afferma — Riscuote l’empatia degli impren­di­tori dei distretti che hanno saputo usare la crisi come un’occasione, ma rac­co­glie l’ostilità di quelli che sono stati tra­volti dal fal­li­mento delle reti di pros­si­mità o dei distretti mono­pro­dotto. In que­sti set­tori il discorso anti-euro e anti-Europa fun­ziona per­fet­ta­mente». In Toscana, o in Umbria, dove il Pd ha rischiato grosso, «cerca di tenere insieme un modello che si è rotto. Per dirla con una bat­tuta geo­gra­fica, que­ste ele­zioni regio­nali hanno dimo­strato che il post-leghismo ha eson­dato oltre il Po, si è col­lo­cato con una posi­zione nazional-populista sulla linea del Piave e car­si­ca­mente attra­versa l’Italia di mezzo. Fossi in lui sarei molto pre­oc­cu­pato e non indul­ge­rei nella sot­to­cul­tura domi­nante per cui conta solo il 41% delle Euro­pee e si passa il tempo a dele­git­ti­mare le muni­ci­pa­lità, le regioni, i ter­ri­tori, tutto ciò che sta in mezzo tra il potere nazio­nale, il cit­ta­dino e l’Europa».

Renzi dice invece di avere vinto le ele­zioni: 5–2. È forse vit­tima di un’autosuggestione?
Renzi e i suoi non vedono i pro­cessi pro­fondi che ali­men­tano poten­te­mente il leghismo-forzista, quella mistura di nazio­na­li­smo e xeno­fo­bia raz­zi­sta che ha por­tato Sal­vini ad essere secondo par­tito in Toscana, ad avan­zare in Umbria e Mar­che, a far vin­cere Toti in Ligu­ria, a strac­ciare la Moretti con Zaia in Veneto. Non dicono nulla sull’astensionismo e sulla disaf­fe­zione verso la poli­tica che già erano emerse nelle regio­nali in Emi­lia Roma­gna e dome­nica scorsa sono esplosi. Il cam­pa­nello d’allarme doveva suo­nare dopo la scarsa affluenza alle pri­ma­rie del Pd in Veneto. Non l’hanno sen­tito. Il Pd deve rico­min­ciare a par­lare con quella parte dei distretti pro­dut­tivi in dif­fi­coltà anche dell’Italia di Bec­cat­tini e di Foà che rac­con­ta­vano il metal­mez­za­dro alla Mer­loni di Fabriano che oggi, con la crisi di Whir­pool, è in grande dif­fi­coltà. Anche l’Italia bor­ghi­giana, quella sin­tesi di agri­col­tura, pae­sag­gio, manu­ten­zione del ter­ri­to­rio, forme civi­che di par­te­ci­pa­zione, è stata un tema i temi della cam­pa­gna elet­to­rale in Ligu­ria. Il migliore inter­prete è stato il movi­mento Cin­que Stelle, non Raf­faella Paita.

Ma allora come sono andate que­ste ele­zioni?
Per capirlo biso­gna fare un’analisi poli­tica fon­data sulla com­po­si­zione sociale e pro­dut­tiva dei ter­ri­tori. Par­tendo da tre ele­menti: l’aumento della povertà asso­luta e rela­tiva che pro­duce il ran­core degli ultimi; la spac­ca­tura pro­fonda den­tro il ciclo pro­dut­tivo; la tutela del ter­ri­to­rio. Sono temi molto con­creti che sono stati inter­pre­tati anche dal nazional-populismo di Sal­vini e dal popu­li­smo dolce dei gril­lini, molto poco dal Pd.

Renzi ritiene di avere rispo­sto alla povertà dila­gante solo con gli 80 euro e con il Tfr in busta paga. E sem­bra lon­tano mille miglia dai ter­ri­tori. Non è andato a Genova dopo l’alluvione, ad esem­pio. Sono ele­menti che lo hanno penalizzato?

Sì. Que­sto suc­cede quando si destrut­tura tutto ciò che sta in mezzo: la rap­pre­sen­tanza degli ultimi, dei pen­sio­nati, dei senza casa, i sin­da­cati, il com­mer­cio o gli arti­giani. Que­sto spa­zio vuoto lo devi riem­pire altri­menti qual­cun altro lo fa al posto tuo. Il pre­si­dente del Con­si­glio non ha una visione della società di mezzo, La sua parola d’ordine è una sola: rot­ta­mare e moder­niz­zare dall’alto. Ma si deve porre il pro­blema della rico­stru­zione, altri­menti rischia di restare sotto le mace­rie. Que­sto avviene quando le ele­zioni riguar­dano la dimen­sione intermedia.

Le inda­gini dimo­strano che la com­po­nente irre­go­lare nell’immigrazione è al minimo sto­rico, men­tre impren­di­tori del ran­core xeno­fobo come Sal­vini cono­scono suc­cessi elet­to­rali. Come si spiega que­sto fenomeno?

Le migra­zioni sono pro­cessi dram­ma­tici ma intel­li­genti. Con la crisi hanno regi­strato un ral­len­ta­mento. Pur­troppo in Ita­lia non abbiamo una memo­ria sto­rica di que­sti pro­cessi e dimen­ti­chiamo che sono com­pa­ti­bili con la nostra società. L’Europa è indif­fe­rente e non adotta l’unica solu­zione pos­si­bile: creare cor­ri­doi uma­ni­tari per i pro­fu­ghi. Sal­vini sfrutta la sin­drone dell’invasione e il capro espia­to­rio. La prima l’abbiamo già vista nel 1991 con la fuga di massa dall’Albania. Il secondo fun­ziona da sem­pre: basta un fatto di cro­naca su un Rom ven­duto sul mer­cato della poli­tica e scatta la cac­cia al capro espiatorio.

Sal­vini può essere cre­di­bile anche a Roma, e sotto Roma, dove tutt’al più aggrega gruppi neofascisti?

Se la sini­stra non ini­zia a porsi il pro­blema dell’emergenza uma­ni­ta­ria della mol­ti­tu­dine, delle peri­fe­rie, degli ultimi, dei senza casa e lascia tutto in mano al ran­core e alla poli­tica della ruspa è chiaro che, prima o poi, gli impren­di­tori del ran­core saranno rico­no­sciuti come i difen­sori dei ceti sociali in dif­fi­coltà anche al Sud. L’Italia è spac­cata come una mela: c’è un pezzo tede­sco e un altro greco. Al Nord c’è un capi­tale ter­ri­to­riale simile alla Ger­ma­nia e un Sud che soprav­vive con indi­ca­tori simili alla Gre­cia. È un pro­cesso con­so­li­dato. Se non lo si con­tra­sta, que­sti ele­menti sono le tracce dove lavora il nazional-populismo.

Quale ruolo potrebbe gio­care un’iniziativa come quella della coa­li­zione sociale di Landini?

Lan­dini sta affron­tando la vera que­stione: la crisi della società di mezzo. Con­di­vido quando dice di non volere fare un par­tito poli­tico, lui sta cer­cando di met­tersi in rela­zione con il muta­mento della com­po­si­zione sociale. In Ita­lia esi­ste un’enorme domanda di rap­pre­sen­tanza pre-politica. Il suo sim­bo­lico rivol­gersi a Gino Strada e Don Ciotti è una meta­fora sociale che invita il sin­da­cato ad occu­pare uno spa­zio abban­do­nato, quello delle povertà e dei lavo­ra­tori poveri. Il sin­da­cato deve inno­varsi con­fron­tan­dosi con tutti i pro­blemi del lavoro auto­nomo e dell’innovazione. È un segnale impor­tante che tutto il sin­da­cato non dovrebbe sot­to­va­lu­tare. Così come non dovrebbe farlo Renzi che li guarda dall’alto, con una pura logica poli­tica, defi­nendo tutto que­sto mino­ranza della minoranza.



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