I pregiudicati dietro l’appalto vinto per il Centro profughi di Mineo

by redazione | 12 Giugno 2015 9:04

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ROMA Sostiene Luca Odevaine che i soldi ricevuti da Salvatore Buzzi, almeno 5.000 euro al mese, altro non erano che «la remunerazione in nero dell’attività» in favore del manager delle cooperative romane. Quale? «Facilitatore dei rapporti con la pubblica amministrazione, che svolgevo in ragione delle conoscenze maturate nel tempo». Così ha risposto al magistrato l’uomo che da sei mesi è in prigione con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta, sospettato di aver pilotato gli appalti dei campi profughi in favore delle imprese controllate da Mafia Capitale. L’interrogatorio risale al 27 marzo scorso, davanti al pubblico ministero Paolo Ielo.
Una lunga «dichiarazione spontanea», interrotta da qualche rara domanda. Come questa: che cos’è il facilitatore dei problemi con la pubblica amministrazione? «Molto spesso ci sono difficoltà nelle procedure — risponde Odevaine —, blocchi su documenti per i quali, magari per una sciocchezza si blocca il procedimento. Allora, avere una conoscenza delle amministrazioni e anche dei dirigenti, facilita quel percorso, sblocca situazioni». L’avvocato difensore, Luca Petrucci, riassume in maniera empirica: «Era quello che spicciava i problemi…».
Indizi sconosciuti
I magistrati sono convinti che i soldi ricevuti siano il prezzo della corruzione per manovrare le gare in favore delle aziende che lo pagavano. Quando si svolse l’interrogatorio avevano già presentato per Odevaine una nuova richiesta d’arresto per il suo ruolo di «facilitatore» in favore di altre cooperative: quelle del gruppo La Cascina (vicino a Comunione e liberazione e, secondo ciò che lo stesso Odevaine confidava a Buzzi, anche al ministro Alfano e al sottosegretario Castiglione (indagato a Catania per la stessa vicenda), nell’appalto per il Centro profughi di Mineo, in Sicilia. In cambio di altro denaro intascato in nero, da 10.000 a 20.000 euro al mese.
Senza conoscere i nuovi indizi a suo carico, su Mineo Odeavine ha dato nell’interrogatorio una versione molto semplice e lineare. Tra i nuovi atti che lo riguardano c’è l’informativa dei carabinieri del Ros che analizza l’appalto, mettendo in luce — fra l’altro — che tra i «legali rappresentanti» del Consorzio di imprese che l’hanno vinto (anche grazie a Odevaine) ce ne sono diversi che avevano avuto già a che fare con la giustizia.
L’elenco comincia dal presidente del Consorzio Sisifo nel 2011, Salvo Calì, a carico del quale risultano «precedenti di polizia in ordine al reato di truffa, e per essere stato indagato dal Nucleo antisofisticazione dei Carabinieri di Catania per abuso d’ufficio e falsità ideologica in atti pubblici»; il vicepresidente Cono Galipò è indicato con precedenti per «truffa, falsi in genere, violazioni in materia di Iva e reati contro la persona»; il consigliere Domenico Arena (che nel febbraio 2013 sostituisce Calì alla presidenza) è segnalato nel 2014 come «indagato in stato di libertà» perché «in qualità di rappresentante della Sisifo, stipulava contratti di lavoro autonomi con alcuni masso-fisioterapisti e dava loro incarico di eseguire abusivamente trattamenti fisioterapici». Un altro consigliere della Sisifo è stato condannato per truffa nel 1997, ma riabilitato nel 2013.
Vecchi e nuovi indagati
Dell’Ati, l’Alleanza temporanea d’imprese, che ha vinto l’appalto fa parte il consorzio Casa della solidarietà, con sede legale presso gli stessi uffici de La Cascina Global Service. Nella carica di consigliere e amministratore delegato è indicato Cosimo Zurlo, già dipendente della società Auxilium (anch’essa gravitante nel mondo di Cl) che, annotano i carabinieri, «veniva deferito all’autorità giudiziaria di Bari in ordine ai reati di inadempimento di contratti di pubbliche forniture e frode nelle pubbliche forniture».
Infine, a gestire un pezzo dell’appalto è la cooperativa Senis Hospes, che ha tra i suoi rappresentanti Camillo Aceto, per il quale i carabinieri segnalano un arresto nel 2003 per «turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, associazione per delinquere, falsità materiale commessa dal privato, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, uso di atto falso, frode nell’esercizio del commercio, vendita di sostanze alimentari non genuine». Le accuse erano relative a presunte irregolarità nella forniture di pasti al Policlinico e alle mense scolastiche e universitarie di Bari «da parte della ditta La Cascina». Coindagati di Aceto furono, all’epoca, Angelo Chiorazzo, manager della holding vicina a Cl, e Salvatore Menolascina, arrestato in questa nuova fase dell’indagine. Nel rapporto del Ros non è specificato come si sono conclusi i procedimenti penali; se con archiviazioni, assoluzioni, condanne scontate o altri esiti.
Giovanni Bianconi
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