Il reddito minimo garantito è un diritto universale

Il reddito minimo garantito è un diritto universale

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«Una delle riforme che il nostro paese deve fare è quella sul red­dito minimo, che va intro­dotto come tutela uni­ver­sale e non in sosti­tu­zione del lavoro. Deve essere a carico della fisca­lità gene­rale e non a carico del con­tri­buente» ha soste­nuto Mau­ri­zio Lan­dini, segre­ta­rio gene­rale della Fiom, nel corso di un dibat­tito alla facoltà di Eco­no­mia dell’Università Sapienza con Gior­gio Benvenuto (già segre­ta­rio dell’Uilm-Ulm) e Raf­faele Morese (già segre­ta­rio della Fim Cisl) in occa­sione della pre­sen­ta­zione del «Rap­porto sullo stato sociale 2015» (Edi­zioni Simone) curato da Felice Roberto Pizzuti.

Quello del red­dito minimo è un tema rile­vante in un rap­porto di 480 pagine che spiega cosa real­mente ha fatto il governo nell’ultimo anno sul Wel­fare, sanità, pen­sioni, lavoro e scuola alla luce delle macro­sco­pi­che dise­gua­glianze pro­dotte dall’austerità euro­pea dal 2007 a oggi. Renzi sem­bra avere defi­ni­ti­va­mente ripu­diato il red­dito con argo­men­ta­zioni con­fuse e improv­vi­sate, defi­nen­dolo «inco­sti­tu­zio­nale» e per di più «assi­sten­zia­li­stico». Il red­dito invece è una pre­sta­zione che risponde ad un diritto costi­tu­zio­nale — quello della dignità della vita — finan­ziato dalla fisca­lità gene­rale e rico­no­sciuto a tutti coloro che dimo­strano di essere nelle con­di­zioni di biso­gno sta­bi­lite. Tec­ni­ca­mente, è un «uni­ver­sa­li­smo selet­tivo con la prova dei mezzi», cioè poli­ti­che finan­ziate a tempo illi­mi­tato se sus­si­stono le con­di­zioni e asso­ciate a misure per l’inserimento nel mer­cato del lavoro. Una misura di que­sto tipo non esi­ste solo in Ita­lia e in Gre­cia, che si con­fer­mano essere i paesi più arre­trati d’Europa. Insomma, il red­dito «non è roba da furbi» ma sod­di­sfa un diritto fon­da­men­tale della per­sona. In com­penso, spiega il rap­porto, il governo si è dedi­cato all’assistenzialismo alle imprese.

In uno dei capi­toli più vividi, e pole­mici, che rico­strui­sce le recenti vicende del «Jobs Act» nella lunga sto­ria del pre­ca­riato in Ita­lia, si dimo­stra come il rifiuto del red­dito minimo da parte di Renzi sia l’altra fac­cia di una poli­tica a soste­gno di un prin­ci­pio «eti­ca­mente inam­mis­si­bile»: asse­gnare un finan­zia­mento trien­nale alle imprese da circa 4 miliardi di euro, ras­si­cu­rare gli impren­di­tori sul diritto di potersi sba­raz­zare dei lavo­ra­tori pre­cari (a «tutele cre­scenti») non appena ter­mi­nati i fondi ero­gati a piog­gia con il Jobs Act. Il pro­gramma sul lavoro di Renzi è det­tato da una siste­ma­tica volontà di pre­ca­riz­zare tutto il pre­ca­riz­za­bile con l’abolizione dell’articolo 18 sui neo-assunti dipen­denti; il decreto sui «con­tratti ati­pici» che ha come unico «sba­lor­di­tivo con­te­nuto» quello di «ren­dere “acau­sali” i con­tratti a ter­mine diretti e “indi­retti, ossia quelli di lavoro som­mi­ni­strato». Il risul­tato è «ridurre il lavo­ra­tore in stato di sog­ge­zione psi­co­lo­gica per timore del man­cato rin­novo». La «cau­sa­lità» del con­tratto è stata sosti­tuita da un limite mas­simo di cin­que rin­novi. Ogni datore di lavoro può impie­gare un lavo­ra­tore per 36 mesi, nel limite mas­simo del 20%, det­tando se vuole con­di­zioni quo­ti­diane vessatorie.

Que­sto impianto è stato difeso dal sot­to­se­gre­ta­rio alla pre­si­denza del Con­si­glio Clau­dio De Vin­centi, già docente alla facoltà di eco­no­mia della Sapienza: «Avere intro­dotto le tutele cre­scenti sta dando dei frutti impor­tanti, tra­sfor­mando in tempo inde­ter­mi­nato i con­tratti a tempo» ha detto. Il rap­porto, redatto prima degli ultimi dati sull’occupazione dell’Istat, pre­vede che tali tra­sfor­ma­zioni non equi­val­gono a nuova occu­pa­zione, bensì una pic­cola «bolla occu­pa­zio­nale» creata ad hoc dagli impo­nenti aiuti alle imprese. De Vin­centi ha elo­giato, con una certa pro­rom­penza in realtà, la bontà della «Buona scuola» con­te­stata dalla mag­gio­ranza asso­luta dei docenti e del per­so­nale Ata: «I docenti devono esser dispo­sti a farsi misu­rare» ha detto. Igno­rando il fatto che non vogliono farsi «misu­rare» da un «preside-manager» eletto a monarca dal Ddl scuola in discus­sione al Senato. Il capi­tolo sulla scuola smonta l’ideologia neo­li­be­rale e azien­da­li­stica e mette seria­mente in discus­sione l’equivalenza fal­sa­mente ogget­tiva, e real­mente auto­ri­ta­ria, tra la «valu­ta­zione» e la «misu­ra­zione» alla quale è ispi­rata la stessa affer­ma­zione di De Vin­centi.
Infine, l’analisi del sistema pensionistico.

La tesi è: il sistema è in equi­li­brio. I pre­cari ali­men­tano l’attivo dell’Inps, ma dif­fi­cil­mente potranno godere di una pen­sione digni­tosa. La crisi ha dato un colpo fatale alla pre­vi­denza pri­vata a capi­ta­liz­za­zione. I coef­fi­cienti di tra­sfor­ma­zione usati per il cal­colo della pen­sione dovreb­bero essere dun­que dif­fe­ren­ziati in rap­porto alle aspet­ta­tive di vita con­nesse alle con­di­zioni di lavoro. Il rap­porto pole­mizza con la pro­po­sta di rical­co­lare con il metodo con­tri­bu­tivo le pen­sioni supe­riori giù liqui­date con il retri­bu­tivo. Una solu­zione di dif­fi­cile attua­zione che col­pi­rebbe solo una parte dei pen­sio­nati. Una solu­zione cri­ti­cata da Tito Boeri, pre­si­dente dell’Inps, inter­ve­nuto alla pre­sen­ta­zione del rapporto.

Oggi Boeri sarà ascol­tato dalla com­mis­sione Lavoro di Palazzo Madama e par­lerà pro­prio delle pos­si­bili coper­ture per il red­dito minimo. Il pre­si­dente dell’Inps è uno sto­rico soste­ni­tore di que­sta misura, pro­mossa tra gli altri anche dalla cam­pa­gna con­tro la «mise­ria ladra» pro­mossa da Libera che la scorsa set­ti­mana ha rac­colto le firme in 200 città. Per gli esten­sori del rap­porto sullo Stato sociale il dibat­tito sul red­dito minimo garan­tito è con­di­zio­nato dai vin­coli di bilan­cio in Ita­lia. Gli oneri oscil­le­reb­bero tra i 4 e i 10 miliardi di euro all’anno. “Pro­po­ste più recenti — si legge nel rap­porto — di assi­cu­rare a tutti un red­dito pari alla soglia di povertà (circa 700 euro men­si­bili) impli­cano costi maggiori”.

«Il soste­gno ai red­diti più bassi deve essere assunto come asso­luta prio­rità» ha affer­mato la pre­si­dente della Camera, Laura Bol­drini nel corso della pre­sen­ta­zione del rap­porto. «Ognuno ha la sua ricetta — ha con­ti­nuato — ma qual­siasi essa sia, c’è chi parla di red­dito minimo garan­tito, di red­dito di cit­ta­di­nanza, chi dice solo aiu­tiamo le fami­glie più biso­gnose, comun­que sia biso­gna agire, il tempo è sca­duto e biso­gna avere a mente che la disu­gua­glianza fa male a tutti, nel medio e lungo ter­mine». «Ridurre la disu­gua­glianza è un’azione che va a van­tag­gio dello stesso paese».



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