Patto sul clima fra i Sette Grandi I gas serra diminuiranno del 70%
Print this article Font size -16+
Garmisch-Partenkirchen. Riduzione del 70 per cento (rispetto ai livelli del 2010) delle emissioni di gas-serra entro il 2050. Con l’obiettivo di limitare entro i due gradi centigradi l’aumento della temperatura del Pianeta. È l’impegno più importante preso dal G7 sulla strada dell’accordo per la limitazione del «global warming» che si spera di poter raggiungere alla conferenza ambientale dell’Onu in dicembre a Parigi. Raggiante la cancelliera tedesca Angela Merkel, padrona di casa del summit bavarese, che è riuscita a far inserire tra le promesse dei leader anche quella di farla finita con i combustibili fossili entro il 2100. Soddisfatto Barack Obama che spera di costruire sugli accordi per salvare la Terra dalla catastrofe ambientale parte dell’eredità politica della sua presidenza. Il leader americano sottolinea come ora tutti i Sette grandi abbiano preso impegni quantitativi per la riduzione delle emissioni dopo il 2020.
I comunicati finali di questi vertici internazionali sono da sempre elenchi infiniti di buoni propositi e di assunzioni di responsabilità, non sempre seguiti dai fatti. A prima vista anche gli impegni sottoscritti nel castello di Elmau dai Sette, hanno un po’ il sapore del «libro dei sogni». Obiettivi proiettati verso il 2100? E chi ci sarà a controllare, fra 85 anni, che le cose siano andate come promesso da leader di cui si faticherà a ricordare il nome? Non sarebbe stato meglio concentrarsi sulle distorsioni attuali con, ad esempio, il Nord Europa (dalla Gran Bretagna alla Polonia passando proprio per la Germania) che si è mangiato i vantaggi ambientali dello sviluppo delle fonti alternative a causa del maggior consumo di carbone, oggi più a buon mercato grazie al boom dello «shale gas» americano?
Dubbi legittimi, scetticismo giustificato, ma i G7 servono anche a definire dei percorsi, a creare la massa critica per consentire alle economie industrializzate dell’Occidente di mettersi alla guida di processi di modernizzazione che si spera di estendere a tutte le aree del mondo. Questo ruolo di definizione delle agende è importante soprattutto su temi, come quelli dell’ambiente, sui quali è sempre stato difficile costruire un consenso ampio.
L’accordo raggiunto ieri dai Sette è il terzo tassello importante — dopo l’intesa tra Stati Uniti e Cina raggiunta da Obama e Xi Jinping a Pechino e le recenti aperture del leader indiano Modi — sulla strada di un accordo sull’ambiente. Un’intesa magari meno ambiziosa del «protocollo di Kyoto», ma più vincolante di quel trattato che non impegna le economie emergenti (ormai anch’esse in testa alla classifica dell’inquinamento) e che non venne sottoscritto dagli Usa.
«Think ahead, act together» è lo slogan del summit: guardare avanti per fissare gli obiettivi e agire insieme per centrarli. Forse solo parole, ma se c’è un anno in cui la verifica dei fatti arriverà presto è questo, tra vertice ambientale di Parigi e la conferenza dell’Onu che a settembre è chiamata a tracciare il percorso di uno sviluppo sostenibile per il Pianeta.
Massimo Gaggi
I comunicati finali di questi vertici internazionali sono da sempre elenchi infiniti di buoni propositi e di assunzioni di responsabilità, non sempre seguiti dai fatti. A prima vista anche gli impegni sottoscritti nel castello di Elmau dai Sette, hanno un po’ il sapore del «libro dei sogni». Obiettivi proiettati verso il 2100? E chi ci sarà a controllare, fra 85 anni, che le cose siano andate come promesso da leader di cui si faticherà a ricordare il nome? Non sarebbe stato meglio concentrarsi sulle distorsioni attuali con, ad esempio, il Nord Europa (dalla Gran Bretagna alla Polonia passando proprio per la Germania) che si è mangiato i vantaggi ambientali dello sviluppo delle fonti alternative a causa del maggior consumo di carbone, oggi più a buon mercato grazie al boom dello «shale gas» americano?
Dubbi legittimi, scetticismo giustificato, ma i G7 servono anche a definire dei percorsi, a creare la massa critica per consentire alle economie industrializzate dell’Occidente di mettersi alla guida di processi di modernizzazione che si spera di estendere a tutte le aree del mondo. Questo ruolo di definizione delle agende è importante soprattutto su temi, come quelli dell’ambiente, sui quali è sempre stato difficile costruire un consenso ampio.
L’accordo raggiunto ieri dai Sette è il terzo tassello importante — dopo l’intesa tra Stati Uniti e Cina raggiunta da Obama e Xi Jinping a Pechino e le recenti aperture del leader indiano Modi — sulla strada di un accordo sull’ambiente. Un’intesa magari meno ambiziosa del «protocollo di Kyoto», ma più vincolante di quel trattato che non impegna le economie emergenti (ormai anch’esse in testa alla classifica dell’inquinamento) e che non venne sottoscritto dagli Usa.
«Think ahead, act together» è lo slogan del summit: guardare avanti per fissare gli obiettivi e agire insieme per centrarli. Forse solo parole, ma se c’è un anno in cui la verifica dei fatti arriverà presto è questo, tra vertice ambientale di Parigi e la conferenza dell’Onu che a settembre è chiamata a tracciare il percorso di uno sviluppo sostenibile per il Pianeta.
Massimo Gaggi
Related Articles
Pil in calo dell’ 1,8% «L’Italia è l’unico Paese del G7 in recessione»
L’Ocse: incentivi per le assunzioni
“No alla Confindustria se comporta ostacoli”
Marchionne presenta la Freemont: incontrerò i vertici Cisl e Uil
Il virus mutante della sovranità
Disordine mondiale. Alcune considerazioni su come è cambiato, con la crisi, il diritto internazionale e i rapporti tra le classi a partire dal volume di Alessandro Colombo «Tempi decisivi» edito da Feltrinelli
No comments
Write a comment
No Comments Yet!
You can be first to comment this post!