Tor­tura, Renzi dica se sta con il Sap e Salvini

Tor­tura, Renzi dica se sta con il Sap e Salvini

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Era il 1997 quando le Nazioni Unite deci­sero che il 26 giu­gno fosse il giorno in cui ricor­dare su scala uni­ver­sale le vit­time della tor­tura. Dieci anni prima, ovvero il 26 giu­gno del 1987, entrò in vigore la Con­ven­zione Onu con­tro la tor­tura e ogni altra forma di puni­zione o trat­ta­mento inu­mano, cru­dele o degra­dante. Sono 158 gli Stati che in giro per il mondo hanno fir­mato e rati­fi­cato il Trat­tato. Pos­siamo però dire che la tor­tura, con­si­de­rata dal diritto inter­na­zio­nale cri­mine con­tro l’umanità, sia oggi ban­dita dalla comu­nità degli Stati?

Qui seguono due ordini di rifles­sioni. Il primo ordine di rifles­sioni riguarda quei Paesi che si sono ade­guati, sep­pur par­zial­mente, ai con­te­nuti del Trat­tato Onu che impo­neva, tra l’altro, la pre­vi­sione di un reato ad hoc nella legi­sla­zione interna a cia­scuno degli Stati mem­bri. Come sap­piamo la codi­fi­ca­zione del reato è con­di­zione neces­sa­ria ma non suf­fi­ciente per­ché la tor­tura sia per­se­guita e per­ché non vi sia impu­nità per i tor­tu­ra­tori. Non siamo così inge­nui da cre­dere che basti pre­ve­dere un reato per­ché la pra­tica di poli­zia si ade­gui e i giu­dici condannino.

Di pochi giorni fa sono le osser­va­zioni del Comi­tato Onu con­tro la tor­tura rispetto alla Spa­gna, Paese che dal 1995 ha intro­dotto il cri­mine nel suo codice. Il Comi­tato ha soste­nuto che la defi­ni­zione di tor­tura pre­sente nella legi­sla­zione spa­gnola fosse del tutto ina­de­guata e ha invi­tato le auto­rità ibe­ri­che ad armo­niz­zarla rispetto al testo Onu.

All’articolo 1 della Con­ven­zione si defi­ni­sce la tor­tura. Devono ricor­rere i seguenti requi­siti: l’autore deve essere un pub­blico uffi­ciale, deve esserci vio­lenza o minac­cia, deve essere pro­dotta sof­fe­renza fisica o psi­chica, deve esservi l’intenzione di estor­cere una con­fes­sione o di umi­liare. Va altresì ricor­dato che lo Sta­tuto della Corte Penale Inter­na­zio­nale abi­li­tata a giu­di­care i gravi cri­mini con­tro l’umanità – tor­tura, geno­ci­dio, cri­mini di guerra – ha una defi­ni­zione meno cogente. In ogni caso è que­sto il solco entro cui lo Stato deve muo­versi. La Spa­gna non l’ha fatto.

Il secondo ordine di rifles­sioni riguarda invece quei Paesi che non si sono ade­guati per nulla ai con­te­nuti del Trat­tato. L’Italia è in prima linea tra que­sti. La tor­tura da noi non è un reato, come ci ha ricor­dato la Corte Euro­pea sui diritti umani lo scorso 7 aprile con­dan­nando il nostro Paese nel caso Cestaro a causa delle bru­ta­lità com­messe dalla Poli­zia nella scuola Diaz nel 2001. Pochi giorni fa il mini­stro Alfano in un con­ve­gno pub­blico ha affer­mato: «Il reato non sia con­tro la Poli­zia». Il reato di tor­tura è essen­ziale per una Poli­zia moderna; aiuta a distin­guere chi svolge il pro­prio com­pito cor­ret­ta­mente da chi invece fa un uso bru­tale della forza.

La con­tra­rietà delle forze dell’ordine è ingiu­sti­fi­ca­bile se non addu­cendo tesi oltran­zi­ste. Il ddl per l’introduzione del delitto nel codice pende in com­mis­sione Giu­sti­zia al Senato. È vit­tima di un ping pong par­la­men­tare già troppe volte visto in pas­sato. Tra il 16 e il 22 set­tem­bre il Sotto-Comitato Onu con­tro la tor­tura visi­terà i luo­ghi di pri­va­zione della libertà in Ita­lia. È la prima volta che gli ispet­tori Onu entre­ranno nelle nostre caserme, nei nostri Cie, nelle nostre pri­gioni. Subito dopo si reche­ranno in Tur­chia. L’Italia è tra i 78 Paesi che si è resa dispo­ni­bile a farsi visi­tare. Per allora sarebbe essen­ziale che da un lato ci fosse il reato nel codice, dall’altro fosse nomi­nato il Garante delle per­sone pri­vate della libertà. La legge c’è, il Garante non ancora.

Per que­sto ci rivol­giamo diret­ta­mente a Mat­teo Renzi, il quale nei giorni suc­ces­sivi alla sen­tenza euro­pea nel caso Diaz aveva detto che «la nostra rispo­sta è il reato di tor­tura». La palla è nel suo campo. Vanno neu­tra­liz­zate le obie­zioni del par­tito di Gio­va­nardi e Alfano. Il mini­stro della Giu­sti­zia Orlando, in occa­sione del dibat­tito alla Camera dello scorso aprile, aveva auspi­cato invece un voto ampio e con­di­viso. Una posi­zione impor­tante che ora deve tro­vare con­ferma al Senato. Spetta al pre­mier spin­gere in que­sta dire­zione, anzi­ché in quella di retro­guar­dia del mini­stro degli Interni, del Sap e di Salvini.

*pre­si­dente Antigone



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