Ad Atene in piazza il fronte del sì

by redazione | 1 Luglio 2015 9:33

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Una gior­nata piena di riu­nioni al Megaro Maxi­mou, sede del governo, ma anche di infor­ma­zioni con­trad­dit­to­rie per un’eventuale intesa tra Atene e i suoi cre­di­tori. A piazza Syn­tagma di fronte al par­la­mento, que­sta volta era pre­sente il «fronte del sì», ovvero i greci che vor­reb­bero ad ogni costo un accordo con le «isti­tu­zioni». Migliaia di per­sone a mani­fe­stare la volontà di accet­tare le con­di­zioni dei cre­di­tori, spinti per strada — forse — dalla cam­pa­gna media­tica dell’opposizione che ritiene che il refe­ren­dum possa allon­ta­nare, per sem­pre, la Gre­cia dalla Ue.

Di sicuro rap­pre­sen­tano una parte dei greci, com­presi alcuni elet­tori di Syriza, che non vogliono in alcun modo il rischio di un’uscita dall’euro. Il pre­mier Tsi­pras (che ieri ha avuto comu­ni­ca­zioni tele­fo­ni­che con Dra­ghi, Mer­kel, Hol­lande e Schulz), secondo alcuni media locali si sarebbe schie­rato a favore di una solu­zione soste­ni­bile; altre fonti — invece — dice­vano che «siamo molto vicini ad un’intesa». Lo stesso Tsi­pras che fa cam­pa­gna per il «fronte del no», è stato chiaro anche durante un’intervista alla tv pub­blica Ert lunedi sera: «rispet­te­remo la volontà dell’elettorato, anche se io non sono un uomo per tutte le sta­gioni». Vale a dire che nel caso vin­cesse il «fronte del sì», il pre­mier non ha altra scelta che dimet­tersi, aprendo la strada ad un ricorso anti­ci­pato alle urne e a un periodo di insta­bi­lità poli­tica. In tal caso il governo delle sini­stre sarebbe una paren­tesi e la scon­fitta non sarà sol­tanto greca.

A que­sto punto si pone la domanda: per­ché il pre­mier greco non si è aggrap­pato all’opportunità for­nita da Junc­ker, che avrebbe pro­po­sto un accordo in extre­mis (con l’aliquota dell’Iva al 13% per gli alber­ghieri e i ser­vizi turi­stici e non al 23%) e un impe­gno da parte dell’ Euro­gruppo per una ristrut­tu­ra­zione del debito? Tanto è vero che Tsi­pras ha annun­ciato il refe­ren­dum per far mag­gior pres­sione sulle «isti­tu­zioni» affin­ché ridu­ces­sero le pre­tese per arri­vare ad un’intesa e per «distri­buire» il peso della respon­sa­bi­lità di una deci­sione che potrebbe essere inter­pre­tata come una resa ai cre­di­tori o, in caso con­tra­rio, un salto nel buio.

Nel caso dovesse esserci un accordo prima del refe­ren­dum della dome­nica pros­sima ci sono due pos­si­bi­lità: o la con­sul­ta­zione verrà annu­lata, un’eventualitá tutto som­mato scarsa — «il refe­ren­dum comun­que sarà rea­liz­zato» ha detto ieri il mini­stro Nikos Pap­pas, brac­cio destro di Tsi­pras — oppure il governo si schie­rerà a favore del «si».

La mag­gio­ranza dei greci vuole con­ti­nuare a uti­liz­zare la moneta unica e pre­fe­ri­rebbe un accordo con i part­ner euro­pei del Paese piut­to­sto che una rot­tura. È quanto risulta da due son­daggi effet­tuati prima di sabato, giorno in cui Tsi­pras ha annun­ciato il refe­ren­dum. Nel son­dag­gio della Alco per il set­ti­ma­nale Proto Thema, il 57% degli inter­vi­stati ha detto di rite­nere che la Gre­cia dovrebbe fare un accordo con i part­ner euro­pei, men­tre il 29% ha detto di pre­fe­rire una rottura.

Dal son­dag­gio con­dotto dalla Kapa Research per il quo­ti­diano To Vima è emerso che il 47,2% degli inter­vi­stati vote­rebbe a favore di un accordo, per quanto dolo­roso, con i cre­di­tori, con­tro il 33% che vote­rebbe no e il 18,4% di inde­cisi. Entrambi i son­daggi sono stati con­dotti a livello nazio­nale dal 24 al 26 giu­gno. Tenendo poi conto del clima di pre­oc­cu­pa­zione e di ten­sione crea­tosi dalla deci­sione di chiu­dere le ban­che gre­che, ana­li­sti fanno notare che «la per­cen­tuale a favore di un’intesa e quindi del sì dovrebbe essere aumentato».

A que­sto spo­sta­mento ha con­tri­buito la cam­pa­gna di inti­mi­da­zione, se non di ter­ro­ri­smo dell’opinione pub­blica da parte dei media main­stream, ali­men­tata da altri due fat­tori: la chiu­sura delle ban­che seguita dal capi­tal con­trol e il limite dei 60 euro al giorno dai ban­co­mat. Oggi apri­ranno i bat­tenti a quasi mille filiali per pagare le pen­sioni ai clienti che non pos­sie­dono carte di cre­dito, ma il clima è peg­gio­rato rispetto ai giorni precedenti.

La con­fu­sione, l’ansia e il ner­vo­si­smo sono evi­denti sui volti delle per­sone, in gran parte pen­sio­nati, che sotto la piog­gia fanno delle lun­ghe file di fronte ai ban­co­mat, soprat­tutto quelli della Natio­nal Bank of Greece. La poli­zia greca è stata posta in stato di allerta nel timore di atten­tati dina­mi­tardi con­tro i ban­co­mat o taf­fe­ru­gli tra i clienti in fila. Pre­oc­cu­pati pure i com­mer­cianti e le aziende di espor­ta­zione, per­ché oltre al calo pau­roso delle ven­dite — già ridotte — hanno pro­blemi di liqui­dità. 350 milioni di euro saranno persi que­sta set­ti­mana, secondo l’Associazione dei com­mer­cianti di Atene. Inol­tre, il «fronte del sì» sta cre­scendo per­ché il governo non ha ancora chia­rito cosa fare il giorno dopo il refe­ren­dum nel caso vin­cesse il «no», rispetto alle pro­po­ste dei cre­di­tori. Il discorso gene­rico «avremo un potere di nego­ziato più forte» con­vince i mili­tanti di Syriza, ma non tanti altri elettori.

Un «no» forte sicu­ra­mente raf­for­zerà il potere con­trat­tuale del pre­mier greco, ma pre­sen­tan­dosi a Bru­xel­les Tsi­pras rischia di non tro­vare i suoi inter­lo­cu­tori delle «isti­tu­zioni» per­ché sem­pli­ce­mente potreb­bero dire che il nego­ziato è ter­mi­nato. A quel punto la Gre­cia cam­mi­nerà su «acque sco­no­sciute». La Bce potrebbe chiu­dere i rubi­netti –da ieri il Paese non è più nel pro­gramma di aiuti e l’agenzia di ratings Fitch ha declas­sato le quat­tro ban­che elle­ni­che al grado Rd (fal­li­mento in parte, Restric­ted default)- pro­vo­cando in un primo momento il crollo del sistema ban­ca­rio greco e in seguito, l’intervento dello stato. Con un’economia in ginoc­chio da parec­chi anni causa reces­sione, il governo greco, anche se non lo vuole, non avrebbe altra pos­si­bi­lità che chie­dere aiuti da paesi fuori dalla Ue, nazio­na­liz­zare gli isti­tuti di cre­dito e stam­pare la dracma.

Visto che il pre­si­dente della Repub­blica, Pro­ko­pis Pavlo­pou­los, ex mini­stro della Nea Dimo­kra­tia, ha chia­rito parec­chie volte che «non sarò mai il pre­si­dente di un paese che esce dalla moneta unica», nel caso di un ritorno alla dracma Pavlo­pou­los si dimet­terà pro­vo­cando nuove ele­zioni. Nei trat­tati Ue non è pre­vi­sta l’uscita di un paese mem­bro, ma a quel punto la Gre­cia rischia l’isolamento e un’esplosione della crisi uma­ni­ta­ria. Ieri Atene ha chie­sto dall’Esm la ristrut­tu­ra­zione del debito greco e un accordo di due anni per sod­di­sfare i suoi biso­gni di bilan­cio, men­tre il mini­stro delle finanze Yanis Varou­fa­kis ha detto che farà ricorso al Tri­bu­nale euro­peo nel caso i cre­di­tori doves­sero obbli­gare il paese a uscire dall’eurozona.

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