Ban­che «chiuse» e crack aperti

Ban­che «chiuse» e crack aperti

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Non sono una novità le file dei cor­ren­ti­sti davanti alle ban­che per pre­le­vare denaro con­tante. Peral­tro quelle viste in Gre­cia in que­ste set­ti­mane non sono nean­che degne di nota. Con­tra­ria­mente a quanto ripor­tato da molti media, quelle ban­che erano e sono rego­lar­mente aperte per tutte le ope­ra­zioni ordi­na­rie. Le misure di «chiu­sura» non hanno nulla a che vedere con l’apertura degli spor­telli: ser­vono soprat­tutto per impe­dire che un mas­sic­cio pre­lievo di con­tante e il suo tra­sfe­ri­mento all’estero deter­mini una sot­to­ca­pi­ta­liz­za­zione degli isti­tuti di cre­dito con con­se­guente col­lasso del sistema cre­di­ti­zio greco.

Nes­suno ricorda invece che nell’estate di otto anni fa, senza alcuna giu­sti­fi­ca­zione appa­rente, comin­cia­rono a for­marsi file davanti agli spor­telli di un’importante banca, la Nor­thern Rock, quinta banca bri­tan­nica nel mer­cato dei mutui immo­bi­liari. Sotto l’incalzare di un’inchiesta gior­na­li­stica con­dotta dal «The Guar­dian» nell’estate 2007, le file si allun­ga­rono a dismi­sura. Si trat­tava di un evento ecce­zio­nale che non acca­deva dalla fine dell’Ottocento. Gli ana­li­sti oggi con­cor­dano nell’attribuire al crollo di quella banca lo scop­pio della crisi finan­zia­ria glo­bale, men­tre il fal­li­mento della Leh­man Bro­thers, arri­vato solo un anno dopo, ne fu solo la conclamazione.

L’allora governo gui­dato da Gor­don Brown si vide costretto ad inter­ve­nire con misure straor­di­na­rie per garan­tire la liqui­dità neces­sa­ria ad impe­dirne il tra­collo. Non ebbe suc­cesso, per­ché l’istituto di cre­dito si tro­vava ormai ben oltre l’orlo della ban­ca­rotta. Lo stesso governo decise quindi di nazio­na­liz­zare la Nor­thern Rock, nascon­dendo una serie di spre­giu­di­cate ope­ra­zioni, a par­tire dalla car­to­la­riz­za­zione di gran parte dei mutui immo­bi­liari con­cessi ai clienti allo scopo di rea­liz­zare ingenti guadagni.

In sostanza, si faceva pre­stare denaro a tassi van­tag­giosi da altre ban­che per poi con­ce­derlo, sotto forma di finan­zia­menti ipo­te­cari, soprat­tutto a gio­vani cop­pie che vole­vano acqui­stare una casa.

Una volta sot­to­scritti, insieme alle imman­ca­bili assi­cu­ra­zioni sulla sol­vi­bi­lità del debi­tore, i finan­zia­menti veni­vano impac­chet­tati con pre­stiti per­so­nali, tra­sfor­mati in pro­dotti deri­vati e ven­duti ad ignari acqui­renti nei mer­cati finan­ziari mon­diali. Le offerte di gua­da­gno erano allet­tanti e per que­sto molti cad­dero nel tra­nello. Si trat­tava di una gigan­te­sca par­tita di giro ali­men­tata dai mutui ipo­te­cari che accom­pa­gna­vano la bolla immo­bi­liare. I mutui car­to­la­riz­zati però non veni­vano ven­duti a sog­getti terzi. La ces­sione avve­niva attra­verso una «società vei­colo» che aveva l’emblematico nome di Gra­nite (gra­nito), per evo­carne l’estrema soli­dità, di pro­prietà della stessa Nor­thern Rock. Al suo cul­mine si è trat­tato del più grande vei­colo di finan­zia­mento del genere in Europa.

A ricor­dare que­sto det­ta­glio è stato nelle set­ti­mane scorse Jill Trea­nor, sem­pre sul «The Guardian».

La società vei­colo aveva sede nell’isola di Jer­sey: para­diso fiscale che pos­siede moneta pro­pria (la ster­lina di Jer­sey), sue regole fiscali e una pro­pria giu­ri­sdi­zione. Il tutto comun­que era ed è sot­to­po­sto alla sovra­nità mone­ta­ria del Regno Unito, come avviene in gran parte degli altri para­disi fiscali al mondo. I gua­da­gni rea­liz­zati da Gra­nite dove­vano ser­vire per aiu­tare le fami­glie con figli affetti dalla sin­drome di Down nella città di New­ca­stle. Que­sto almeno agli occhi del fisco inglese. In realtà, la rela­tiva asso­cia­zione non ha visto una ster­lina e per 7 anni è andata avanti con pochi con­tri­buti volontari.

Dopo la nazio­na­liz­za­zione, la Nor­thern Rock è stata pri­va­tiz­zata solo per la parte «buona»: quella che pro­met­teva di creare ancora utili con i soldi rica­vati dal lavoro degli ignari sot­to­scrit­tori dei mutui. La parte «cat­tiva» è con­fluita nella UK Asset Reso­lu­tion (Ukar), la cosid­detta bad bank della Gran Bre­ta­gna, ed è rima­sta diret­ta­mente sul grop­pone non solo dei con­tri­buenti inglesi, ma anche indi­ret­ta­mente su quello dei con­tri­buenti della zona euro, moneta mai adot­tata nel Regno Unito. L’agenzia Reu­ters ha recen­te­mente annun­ciato che è stata pre­sen­tata al governo di David Came­ron un’offerta di acqui­sto della parte «cat­tiva» della banca fallita.

È stato un con­sor­zio in cui ci sono tra gli altri Gold­man Sachs e Black­stone. Il primo è il colosso finan­zia­rio Usa che, secondo auto­re­voli inchie­ste gior­na­li­sti­che, ha aiu­tato l’allora governo elle­nico a «truc­care» i conti della Gre­cia per farla entrare nell’euro, men­tre il secondo è il più grande fondo d’investimento mon­diale, pre­sente nel capi­tale sociale delle mag­giori ban­che italiane.

Entrambi i colossi, in que­sti anni di crisi, con­ti­nuano a rea­liz­zare ingenti pro­fitti con i deri­vati. Con­tra­ria­mente a quanto molti sosten­gono, è il castello di eco­no­mia di carta che dev’essere man­te­nuto con i nuovi sacri­fici impo­sti al popolo greco e non solo.

Gra­zie ai deri­vati, ogni abi­tante della Terra (uomo, donna o bam­bino) oggi si ritrova inde­bi­tato per circa 28 mila dol­lari, anche se oltre la metà della popo­la­zione mon­diale ha un red­dito infe­riore ai 10 dol­lari al giorno. Cifre che anche in Ita­lia stanno diven­tando dram­ma­ti­che. Con l’ultimo aggior­na­mento, il debito pub­blico è arri­vato a 2.218,2 miliardi (quasi 37mila euro a per­sona), peral­tro cre­sciuto nell’ultimo anno di ben 83,3 miliardi: cioè circa 1.400 euro a testa.

Tutto ciò avviene per­ché qual­cuno è ancora con­vinto, tipo il signor Wol­fgang Schäu­ble, che la ric­chezza fasulla rea­liz­zata con i deri­vati e coi mec­ca­ni­smi alla Nor­thern Rock, debba essere garan­tita a qua­lun­que costo dai debi­tori che hanno sot­to­scritto i rela­tivi con­tratti di finan­zia­mento. Intanto i media non hanno altro da fare che occu­parsi delle file nelle ban­che gre­che facen­dole risul­tare chiuse, men­tre in realtà sono aperte.



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