Cgil-Cisl-Uil, fumata nera sui contratti

Cgil-Cisl-Uil, fumata nera sui contratti

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ROMA. Sindacati ancora divisi sui contratti. Erano più di tre anni che non si riunivano le segreterie unitarie di Cgil, Cisl e Uil, ma dopo oltre cinque ore di discussione le tre confederazioni non sono riuscite ieri a definire una posizione comune sulla riforma del modello contrattuale. Le parti restano distanti e dietro sembrano ormai esserci opzioni strategiche distinte. Cgil e Uil, da una parte, ritengono che il confronto con la Confindustria, la quale spinge per cambiare entro luglio le regole del gioco, possa essere avviato solo al termine dei rinnovi contrattuali, da quello dei chimici ai metalmeccanici, fino a quello per i dipendenti pubblici; la Cisl, dall’altra parte, è pronta invece ad accettare l’impostazione degli industriali temendo che sulla materia sindacale per eccellenza (quella dei contratti, per l’appunto) possa alla fine intervenire il governo attraverso la legge sul salario minimo legale prevista dal Jobs act e temporaneamente congelata in attesa di un’eventuale intesa tra le parti sociali. Un rischio che secondo il sindacato guidato da Anna Maria Furlan non si deve correre. Ma ora non è chiaro come Cgil, Cisl e Uil andranno avanti. E soprattutto se lo faranno insieme.
Ieri sera, al termine della lunga riunione nella sede della Uil, non è stato fissato un altro appuntamento. E nemmeno è stato possibile stilare un comunicato unitario. La Cisl sembra intenzionata a elaborare una sua proposta e poi renderla pubblica. Cgil e Uil, al contrario, puntano a chiudere le vertenze contrattuali che si stanno aprendo nel settore industriale (alimentaristi, chimici e poi metalmeccanici tra i quali si andrà con piattaforme distinte) sostenendo che modificare strada facendo le regole finirebbe per bloccare di fatto i rinnovi. «Noi — ha detto il leader della Cgil, Susanna Camusso — siamo contrari a una moratoria sui contratti, le piattaforme dei rinnovi sia pubblici che privati sono da chiudere. Se Confindustria ha intenzione di bloccare la stagione contrattuale se lo dimentichi ». Ma questa è una prospettiva che negli ambienti confindustriali, per quanto mai ufficialmente, è coltivata da tempo. Il punto è che in una fase economica in cui dinamica inflazionistica è intorno allo zero o poco sopra è difficile individuare parametri ai quali collegare gli aumenti retributivi. Tanto che nel settore dei chimici gli industriali hanno chiesto ai lavoratori la restituzione di 79 euro per effetto di un tasso di inflazione reale inferiore a quello dell’Ipca (indice dei prezzi depurato dagli energetici) sul quale erano stati concordati gli incrementi. Quel modello contrattuale è scaduto alla fine dello scorso anno. Le piattaforme già presentate (alimentaristi e chimici) si muovono senza più quel vincolo. La Confindustria immagina uno schema, per il contratto nazionale, nel quale gli aumenti siano definiti solo al termine della vigenza contrattuale. Nella sostanza una moratoria di tre anni. L’associazionedegli industriali propone, pur mantenendo i due livelli contrattuali, che si possa scegliere tra contratto nazionale e contratto aziendale (tutto ancorato a indici di produttività e redditività) in alternativa tra loro. Insomma si sta aprendo una partita delicatissima ed è chiaro che, in un contesto di stagnazione economica, gli spazi per i rinnovi contrattuali siano assai modesti e che per Confindustria (e forse anche per il governo) non sarà difficile incunearsi tra le divisioni sindacali.
Divisioni che non riguardano le pensioni. La riunione di ieri è servita a concordare una linea comune sulle richieste da avanzare per modificare la legge Fornero: flessibilità in uscita senza penalizzazioni, soluzione strutturale per gli esodati, trattamenti specifici per i lavoratori impegnati in attività usuranti. Proposte che i sindacati avanzano in vista della legge di Stabilità anche se chiedono fin d’ora un incontro con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.


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