La legge del più forte mette in crisi l’Unione
Il referendum greco avrebbe dovuto contribuire ad indirizzare il dibattito verso aspetti più strutturalmente connessi al processo d’unificazione europea, ma – almeno finora –prevalgono prese di posizione su aspetti congiunturali e spesso di carattere viscerale, mentre più che mai sarebbero necessarie razionalità e visione storica.
Un principio che guida le autorità tedesche – seguite con imbarazzante disciplina da quelle degli altri paesi dell’Eurozona — è che i governanti greci non possono disattendere le regole accettate (o subite?) dagli altri 18 paesi; altrimenti, i loro cittadini dovrebbero pagare le condizioni di favore accordate ai greci, il che sarebbe ingiusto e inaccettabile. Si aggiunga che i tedeschi (e i loro followers) pongono una questione di fiducia che non sarebbe corrisposta dai greci (e da altri paesi mediterranei). Da qui la resistenza a concedere anche solo flessibilità rispetto alla politica del “rigore”. Lo stesso referendum è stato visto come un escamotage del governo Tsipras per sfuggire alle sue responsabilità e, dunque, ha ulteriormente stizzito la signora Merkel e il suo ministro Schauble che hanno ribadito l’impossibilità di ricontrattare il debito
A queste posizioni che pretendono di essere anche eticamente rigorose è facile ribattere la loro ingiustificata presunzione. Le banche tedesche e francesi hanno per lungo tempo praticato l’azzardo morale di acquistare titoli del debito pubblico greco che rendevano il 16% prendendo a prestito dalla Bce all’1%; esse speculavano contando sul paracadute (molto poco etico) fornito dalla diarchia franco-tedesca sull’Unione europea che non avrebbe consentito un default greco prima che le loro banche si fossero liberate di quei titoli rischiosi. Il sistema tedesco (in quel caso insieme a quello francese) ha usufruito di quella situazione asimmetrica che per gli altri paesi si tramutava in un onere.
L’accusa rivolta ai greci di aver vissuto al di sopra delle loro possibilità trova effettiva rispondenza in alcuni loro comportamenti e scelte economico-sociali che, tuttavia, sono stati decisi dalla precedente classe politica — corrotta e inefficiente — che le cancellerie europee speravano fosse riportata al potere dalla vittoria del Sì al referendum. L’elevato valore del debito pubblico greco in rapporto al suo Pil attesta senza dubbio della cattiva gestione di bilancio dei governanti greci, ma l’austerity imposta dalla Troika ha colpevolmente contribuito ad accentuarlo; ciò era stato previsto ed è accaduto in base a meccanismi economici ben noti, che per anni sono stati negati, ma che oramai sono riconosciuti anche dagli economisti del Fmi, a cominciare dal loro Capo Olivier Blanchard. Si continua giustamente a richiamare la Grecia anche per il suo elevato debito commerciale con l’estero e perché dovrebbe fare le cosiddette riforme strutturali anche per migliorare la sua competitività, ma contemporaneamente si continua a passare sotto silenzio che la Germania da 13 anni contravviene la norma comunitaria che vieta avanzi superiori al 6%; eppure è evidente che se in un paese c’è disavanzo, in qualcun altro dovrà esserci avanzo, né è logicamente possibile che tutti i sistemi economici siano più competitivi di ciascun altro.
Ancor meno è pensabile che il modello guidato dalle importazioni e dall’avanzo commerciale possa estendersi dalla Germania all’intera zona euro: se l’attuale avanzo del 7% registrato dalla prima si replicasse nella seconda, l’ammontare dell’avanzo annuale supererebbe i 1000 miliardi di dollari, cifra ben superiore al disavanzo Usa di 700 miliardi di dollari che nel 2007 fu tra gli squilibri finanziari che contribuirono alla crisi globale. La quale è stata catalogata come “crisi da debito”, ma potrebbe indifferentemente essere definita “crisi da credito”, visto che non può esistere l’uno senza l’altro (e le rispettive responsabilità speculari).
Nel 1979 Federico Caffè, parlando del progetto d’unificazione europea e delle disomogeneità nazionali, scriveva: «Tutto il nostro impegno deve essere posto nell’eliminare le tensioni che derivano da queste diverse velocità …e la stabilità monetaria da sola non basta .…lo sviluppo dell’occupazione non può considerarsi come una conseguenza necessaria della stabilità monetaria… in queste forme di ingegneria monetaria, …non si è assolutamente affrontato il problema del parallelismo degli obblighi che devono essere a carico dei paesi eccedentari». A questo riguardo, Caffè segnalava due pericoli; «il predominio economico della Germania e un’accresciuta influenza, a livello europeo, di concezioni economiche poco favorevoli al sostegno dell’occupazione». Dunque una buona economia indicava da tempo la strada per una Unione europea più equa e produttiva.
Ma finché il confronto rimarrà incardinato sui binari attuali, l’effetto più probabile sarà la crescita dei risentimenti nazionalistici verso una rottura disordinata (e non un miglioramento) del progetto europeo, con conseguenze che non si limiteranno al deterioramento degli equilibri economici per tutti i cittadini europei (anche per i tedeschi).
Non è un caso che Obama si stia raccomandando perché non ci sia la Grexit; specialmente in America è dibattuta la possibilità che sia in corso una “stagnazione secolare”; a fronte di una dinamica delle economie reali mediamente bassa (si sta riducendo anche la crescita cinese), l’abbondante offerta di moneta e i bassi tassi d’interesse stanno spingendo verso impieghi finanziari sempre più rischiosi e sui mercati borsistici si avvertono i rischi di bolle speculative già in stadio avanzato.
In questo contesto, la Grexit e le sue ripercussioni negative sulle prospettive della zona euro e dell’Unione Europea introdurranno ulteriori elementi d’instabilità a livello mondiale. Sarebbe bene pensare a queste implicazioni della costruzione europea, imitando non le potenze vincitrici della prima guerra mondiale — le cui vessazioni risarcitorie verso la Germania favorirono il nazismo e la seconda guerra mondiale — ma quelle della seconda — che nel 1953 scontarono il debito della Germania favorendo la rinascita dell’intero continente.
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