La piccola Reem “Cara Frau Merkel ecco la mia storia di fughe e ospedali”

by redazione | 22 Luglio 2015 9:05

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 ROSTOCK. NON SI È FATTA commuovere dalla Grecia, abbracciando fino in fondo il suo ruolo di guardiana delle regole dell’Unione europea. Ma una piccola richiedente asilo mediorientale con le lacrime agli occhi, la settimana scorsa, ha messo in difficoltà la cancelliera tedesca Angela Merkel, sollevando dubbi sulla sua capacità di compassione e richiamando l’attenzione sul cruciale dilemma umanitario che attanaglia l’Europa.
E dire che questo episodio è avvenuto quasi per caso. «Non avevo assolutamente in mente di parlare alla cancelliera del problema dei rifugiati», dice Reem Sahwil, una ragazzina palestinese di 14 anni, intervistata lunedì scorso nell’appartamento di Rostock dove vive la sua famiglia. Eppure lo ha fatto, in occasione di un forum pubblico con ragazzi e ragazze organizzato mercoledì scorso in questa città, e il video del botta e risposta ha avuto ampia diffusione in rete. Le lacrime versate da Reem quando Frau Merkel le ha detto che no, non tutti i richiedenti asilo possono rimanere in Germania, hanno trasformato questa timida adolescente nel volto simbolo dell’ondata di sbarchi che sta colpendo l’Europa.
Reem è una delle migliaia di persone arrivate negli ultimi anni in Europa occidentale dal Medio Oriente, dall’Africa e da altre parti del mondo alla ricerca di sicurezza e opportunità. La Germania è uno dei Paesi che ricevono più richieste di asilo di tutta l’Ue. Possono volerci anni per esaminare ogni domanda, e come ha fatto notare la Merkel, molte vengono respinte.
Ma una legge attualmente all’esame del Bundestag sta offrendo a richiedenti asilo ben integrati come Reem nuove speranze di poter restare più a lungo nel Paese di adozione. Una revisione della normativa consentirebbe ad alcuni richiedenti asilo minorenni, che hanno frequentato le scuole tedesche e si sono integrati, l’opportunità di rimanere nel Paese a tempo indefinito, insieme ai genitori.
Reem si sente a casa sua in Germania. «Sono stata trattata bene», ci dice, seduta su un copriletto disseminato di peluche. Insieme ai due fratelli più piccoli e ai genitori, Reem vive in un anonimo palazzone nella periferia della città. L’appartamento è stato messo a disposizione dalle autorità. I genitori di Reem non possono lavorare finché che la loro domanda d’asilo non è stata presa in esame, la famiglia vive grazie a un piccolo sussidio statale. Reem, che dopo cinque anni in Germania parla un tedesco fluente, dice che vuole studiare e rimanere a vivere qui. Vuole lavorare come interprete o come insegnante di inglese, per aiutare altri a superare quelle barriere comunicative che lei stessa ben conosce. «Vedo quant’è fondamentale questa cosa, quando gli immigrati arrivano qui».
È nata in un campo profughi a Baalbek, in Libano, nel 2000. È nata settimina e ha un tendine di Achille più corto e una paralisi cerebrale infantile che le ha paralizzato parzialmente il lato sinistro e le rende difficile camminare. Suo padre Atef faticava a pagare le sue cure mediche con il suo stipendio da saldatore. Nell’estate del 2006, quando la guerra fra Israele e Hezbollah sconvolse la loro esistenza a Baalbek, i Sawhil scapparono in Siria per qualche mese, stabilendosi in altro campo profughi. Quando la famiglia tornò in Libano, Reem si ruppe la gamba destra in un incidente d’auto. «Doveva essere la mia gamba sana», dice ridendo e indicandosi una profonda cicatrice sulla fronte, altro ricordodell’incidente.
Dopo anni di cure inadeguate, i Sawhil nel 2010 fecero domanda per ottenere un visto sanitario per la Germania, e volarono a Düsseldorf per far operare Reem alla schiena, pagando il viaggio con soldi prestati dal datore di lavoro del padre e donazioni della Croce Rossa, parenti e vicini. «Ci rivolgevamo a persone che non conoscevamo neppure: bussavamo alla porta e chiedevamo aiuto», racconta Reem. Quell’operazione è stata la prima di una serie di procedure mediche a cui si è sottoposta in Germania, che hanno spinto la sua famiglia a decidere di rimanere presentando domanda di asilo. «Papà non riusciva più a sopportarla », dice Reem alludendo alla difficile vita della famiglia in Libano.
I Sawhil inizialmente hanno presentato domanda d’asilo in Svezia, che però l’ha respinta perché le regole Ue stabiliscono che la domanda dev’essere gestita dal primo Paese dell’Unione in cui entra il rifugiato. La famiglia è quindi tornata in Germania e ha presentato domanda d’asilo. Le autorità tedesche (come ha detto Reem alla Merkel durante il loro drammatico incontro) l’hanno respinta, ma la famiglia ha presentato appello. Indipendentemente dai risultati di questi sforzi, Roland Methling, il sindaco di Rostock, ha detto che farà tutto quanto è in suo potere per aiutare famiglie residenti nel suo territorio come i Sawhil a rimanere in Germania. «La Germania, l’Europa e specialmente la Palestina hanno bisogno di figure come Reem», scrive il borgomastro di Rostock.
La ragazza frequenta una scuola con strutture per studenti disabili. Ha iniziato le vacanze estive questa settimana. «Quando sono a scuola, sento che sto facendo qualcosa per la mia vita », dice. Aggiunge che le sue materie preferite sono inglese e tedesco, in cui quest’anno è stata l’unica della sua classe ad avere il massimo dei voti. Reem era una delle studentesse invitate a partecipare al forum con la cancelliera. «La politica a volte è dura», aveva detto la cancelliera, dimostrando, secondo alcuni commentatori, mancanza di empatia. Altri hanno applaudito il candore della cancelliera, perfino la stessa Reem. «È stata sincera, trovo che sia una buona cosa».
(© 2015 The New York Times New York Service Traduzione di Fabio Galimberti)
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