La Terra appesa a 2 gradi

by redazione | 1 Luglio 2015 10:02

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Il 2015 sarà l’anno più caldo mai registrato. Parola della Nasa. Gli orsi polari cercano nuovo cibo. E gli Stati cominciano il balletto delle cifre. L’America si impegna a tagliare le emissioni entro il 2025, l’Italia prima del 2030 Ma per contenere le temperature lo stop va anticipato al 2020
LA buona notizia, dicono gli scienziati norvegesi in missione alle isole Svalbard, è che gli orsi polari, assediati dallo scioglimento dei ghiacci che sta facendo emigrare le foche, si ingegnano a trovare altre fonti di cibo. La cattiva notizia è che questo cibo sono i delfini, che il riscaldamento dell’oceano spinge sempre più a Nord. Il 2015, prevede la Nasa, sarà, infatti, l’anno più caldo mai registrato: a livello globale, fra gennaio e maggio la temperatura non era mai stata così alta. Un decimo di grado più dell’anno scorso, che era il record precedente. Alcuniscienziati pensano che il riscaldamento immagazzinato in profondità dagli oceani negli ultimi anni stia per emergere in superficie, facendo fare alla temperatura sulla terraferma un balzo in avanti e spingendo i ghiacciai della costa dell’Antartide ancor più oltre la soglia critica dello scioglimento. Il processo è già in corso. Il New Scientist calcola che si è ormai innescato un innalzamento irreversibile di un metro del livello dei mari nei prossimi decenni e di cinque metri nel prossimo secolo: buona parte di New York, Londra e Venezia sono destinate comunque a finire sott’acqua. È troppo tardi per tornare indietro.
È il segnale che c’è sempre meno tempo per fermare l’effetto serra e, anzi, comincia a non essercene più. Le emissioni di anidride carbonica hanno avviato una trasformazione del pianeta destinata a diventare sempre più inarrestabile. Gli impegni, a prima vista coraggiosi, che cominciano a prendere i governi di diversi paesi non bastano. Anche l’annuncio dei G7 di un obiettivo di riduzione delle emissioni vicino al 70 per cento, rispetto a cinque anni fa, entro il 2050 non basta. Il 2050 è troppo lontano. Se si vuole tenere aperto uno spiraglio alla possibilità di fermare l’aumento della temperatura, rispetto all’epoca preindustriale, a 2 gradi, come chiedono scienziati e governi, le emissioni vanno fermate subito. Nel 2020, cioè domani mattina. Come? Tagliando drasticamente carbone e petrolio. L’allarme e l’appello vengono da un angolo inaspettato. La Iea, International Energy Agency, è l’agenzia che si occupa di energia, per conto dell’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i trenta paesi più industrializzati e più ricchi del pianeta. Incaricata di assicurare un ordinato rifornimento di energia ai paesi consumatori, la Iea va da sempre a braccetto con sceicchi e Big Oil. Ora, non più. Due terzi delle emissioni di CO2 sono legati alla produzione e all’uso di energia: si deve, dunque, cominciare di lì, dice il rapporto su “Energia e cambiamento climatico” che l’agenzia pubblica in questi giorni.
Non partiamo da zero. L’anno scorso quasi metà di tutta la nuova capacità di produrre energia è venuta dalle rinnovabili e la rapida espansione delle fonti a basso contenuto di carbonio ha avuto come risultato che crescita economica e aumento delle emissioni di CO2 non vanno più di pari passo: l’economia mondiale è cresciuta del 3 per cento, ma le emissioni sono rimaste uguali all’anno prima. Su questo trend si innestano gli impegni nazionali di contenimento della CO2 che i governi stanno prendendo in vista della Conferenza di Parigi di fine anno. Paesi responsabili per un terzo delle emissioni globali hanno già presentato i loro impegni. Gli Stati Uniti ridurranno le emissioni fra il 26 e il 28 per cento (rispetto al 2005) entro il 2025. Più determinata l’Europa: meno 40 per cento, rispetto al 1990, entro il 2030. Anche Russia e Messico conterranno le emissioni e, soprattutto, si muove un grande inquinatore come la Cina che porrà un tetto alle emissioni nel 2030 o anche prima. Rispetto al 2009, quando il mondo, alla conferenza di Copenhagen, non riuscì a raggiungere un accordo sulle emissioni, lo scenario politico è completamente cambiato. Ma il risultato? Scarso, dice la Iea. Di fatto, serve solo a farci guadagnare non più di otto mesi. E ci proietta al di là del tetto dei due gradi.
Nello scenario che si apre con gli impegni assunti finora per Parigi, infatti, le emissioni continuano a crescere anche dopo il 2030. Poco, magari: solo l’8 per cento fra il 2013 e il 2030, contro una crescita economia dell’88 per cento. Ma il legame non è rotto. Sulla base di quanto promettono i governi, l’investimento in solare ed eolico diventa dell’80 per cento più alto di oggi, ma le centrali a carbone continuano a sputare solo un po’ meno CO2. Che succede, allora? Diciamo che per avere almeno una possibilità su due di non sforare il tetto dei 2 gradi, il mondo può emettere non più di un tot di anidride carbonica. Sulla base degli impegni assunti finora dai governi, quel tot ce lo saremmo consumato tutto nel 2040. Cioè, sottolinea la Iea, otto mesi più tardi di quanto avverrebbe se i governi non avessero mai assunto impegni per Parigi. O si stringono le viti dell’austerità anti-Co2 o addio due gradi: con tanto di impegni sottoscritti, la temperatura salirebbe di 2,6 gradi entro il 2100 e di 3 gradi e mezzo dopo il 2200, quanto basta per friggere il pianeta.
Ai governi che pagano i loro stipendi, gli esperti della Iea spiegano che, per sfuggire a questo destino, bisogna volerlo. Ma non c’è bisogno di fare salti mortali. La tecnologia c’è già e la crescita economica non ne risentirebbe affatto. I grandi dell’energia, del petrolio e del carbone, invece sì, ne sarebbero colpiti. L’obiettivo, infatti, è fermare le emissioni già al 2020: dopo dovranno scendere e non salire. Fermare le emissioni significa due cose, secondo la Iea: l’uso del carbone comincia a diminuire da subito, già prima del 2020. La domanda di petrolio continua a salire fino a quell’anno, ma lì si ferma. Le misure per arrivare a questi risultati sono relativamente semplici, ma costose.
Anzitutto, dunque, aumentare l’efficienza energetica nell’industria, nei trasporti, negli edifici (gli effetti maggiori si avrebbero in Cina). Aumentare gli investimenti in rinnovabili dai 270 miliardi di dollari l’anno di oggi ad almeno 400 miliardi. Ridurre progressivamente l’utilizzo delle centrali a carbone più vecchie e bandirne la costruzione di nuove (i paesi più interessati sono Germania, Cina, India e Australia). Tagliare gradualmente i sussidi ai consumatori di benzina e gasolio (una misura che tocca, in particolare, i paesi emergenti). Ridurre le emissioni di metano nella produzione di gas e petrolio, ovvero, i fuochi in testa ai pozzi.
L’idea che la domanda di petrolio possa arrestare la sua ascesa già nei prossimi anni, cozza contro tutte le previsioni ufficiali di Big Oil, da Exxon a Shell a Bp. In questo senso, è un cerino acceso quello che la Iea consegna ai governi, in vista del braccio di ferro che accompagnerà la conferenza di Parigi. E proprio ieri Barack Obama e la brasiliana Dilma Rousseff si sono impegnati a lavorare per un accordo “ambizioso ed equilibrato” sul cambiamento climatico, in dicembre a Parigi.
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