Mohamed è morto per i nostri pomo­dori

Mohamed è morto per i nostri pomo­dori

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Moha­med si è acca­sciato men­tre rac­co­glieva i pomo­dori. Il caldo ecces­sivo, il sole forte, pro­ba­bil­mente la stan­chezza, lo hanno stron­cato: è suc­cesso l’altroieri, alle due del pome­rig­gio, in un campo di Nardò, in pro­vin­cia di Lecce. Il brac­ciante, un immi­grato suda­nese di 47 anni, non aveva un con­tratto, ma era in pos­sesso della carta di sog­giorno in quanto richie­dente asilo. L’azienda per cui lavo­rava è attual­mente sotto pro­cesso per un caso di cui si è molto par­lato a Lecce, un’organizzazione cri­mi­nale sgo­mi­nata nel 2011 gra­zie all’operazione di poli­zia Sabr (dal nome di uno dei capo­rali): le accuse, per sedici impu­tati, impren­di­tori e capo­rali ancora in attesa di una sen­tenza di prima grado, vanno dall’associazione per delin­quere alla ridu­zione o man­te­ni­mento in schia­vitù o in ser­vitù, all’intermediazione ille­cita e sfrut­ta­mento del lavoro, estor­sione e falso, e com­pren­dono anche la tratta di persone.

Dodici ore sotto il sole

Ieri, per la morte di Moha­med, sono finiti sul regi­stro degli inda­gati il tito­lare dell’azienda agri­cola per cui lavo­rava, la moglie di quest’ultimo e il capo­rale che lo aveva por­tato nel campo. Moha­med, rac­con­tano Anto­nio Gagliardi e Yvan Sagnet, sin­da­ca­li­sti della Flai Cgil, era arri­vato da pochi giorni a Nardò: come tan­tis­simi altri brac­cianti usava spo­starsi nei diversi ter­ri­tori di rac­colta, in tutto il Sud, a seconda delle sta­gioni. La moglie e la figlia pic­cola si tro­va­vano infatti a Cata­nia, e appena appresa la noti­zia sono par­tite imme­dia­ta­mente per rag­giun­gere il cen­tro pugliese.

«Moha­med lavo­rava per 3,50 euro a cas­sone — spiega Sagnet, sin­da­ca­li­sta della Flai — Cia­scun cas­sone pesa 3 quin­tali, e più ne riempi, più vieni pagato. La gior­nata di lavoro ini­zia alle 5 del mat­tino e fini­sce tra le 17 e le 18: si pas­sano 12 ore sotto il sole, a fati­care come bestie. Moha­med pro­ba­bil­mente non era abi­tuato, era la prima volta che rac­co­glieva pomo­dori, e i 42 gradi, la pres­sione psi­co­lo­gica, sono stati fatali. Non si cono­sce ancora il motivo esatto della morte, le auto­rità hanno dispo­sto un’autopsia».

Erano irre­go­lari anche i due lavo­ra­tori che si tro­va­vano vicino all’uomo e che hanno lan­ciato l’allarme, come non erano a norma dal punto di vista della sicu­rezza altri 28 brac­cianti regi­strati dalla poli­zia in quel momento nel campo. «L’autoambulanza, chia­mata dagli altri lavo­ra­tori, è arri­vata dopo due ore — dice Sagnet — ma ormai era troppo tardi e Moha­med era già morto».

La sto­ria, dram­ma­tica già in sé, diventa ancora più signi­fi­ca­tiva se si guarda il con­te­sto in cui è avve­nuta: innan­zi­tutto, come detto, l’azienda coin­volta era già sotto pro­cesso. E in quello stesso pro­cesso, avviato nel gen­naio 2013 dopo due anni di inda­gini su una tratta di clan­de­stini dall’Africa all’Italia, si sono costi­tuite come parti civili anche la Flai e la Cgil. Ma evi­den­te­mente le cause legali, le impu­ta­zioni penali, non bastano a fer­mare certi impren­di­tori “spre­giu­di­cati”. Stesso discorso per i capo­rali, spesso immi­grati anche loro: gli impu­tati per il caso Sabr, spie­gano alla Flai Cgil, sono ad esem­pio tuni­sini, alge­rini, sudanesi.

Ma non basta, per­ché nel 2011 c’era stata un’altra vit­tima tra i brac­cianti di Nardò: «Un ragazzo era morto in una baracca e non nel campo — rac­conta Sagnet — Non abbiamo mai capito per quale motivo, ma deve aver con­tri­buito la durezza del lavoro». Pro­prio nel 2011 è scop­piata una rivolta a Nardò, con uno scio­pero dei migranti durato 13 giorni, e che poi ha acceso i riflet­tori sul ter­ri­to­rio e ha con­tri­buito alla riu­scita dell’operazione Sabr, quella che ha por­tato sotto pro­cesso i pre­sunti traf­fi­canti di uomini.

Sagnet, came­ru­nense, era uno di quei brac­cianti ribelli, e da allora è cre­sciuto fino a diven­tare sin­da­ca­li­sta della Flai Cgil. «Se non è andata come a Rosarno — aggiunge il suo col­lega Anto­nio Gagliardi — è stato gra­zie al fatto che il sin­da­cato ha saputo inca­na­lare quelle lotte, e al suc­ces­sivo inter­vento delle auto­rità. Poi abbiamo deciso di costi­tuirci parte civile».

Il col­lo­ca­mento non funziona

«Ma tante cose ancora non fun­zio­nano — con­clude Gagliardi — Ad esem­pio le liste di col­lo­ca­mento pub­bli­che che noi del sin­da­cato abbiamo for­te­mente voluto: ci sono e sono uno stru­mento impor­tante, ma non è obbli­ga­to­rio per le imprese pescare i lavo­ra­tori solo da lì, e quindi riten­gono più comodo ed eco­no­mico uti­liz­zare ancora oggi i caporali».

«La morte di Moha­med non può restare un fatto di cro­naca estiva, è un atto di accusa verso un mer­cato del lavoro agri­colo col­pito dalla piaga dello sfrut­ta­mento — dice Ste­fa­nia Crogi, segre­ta­ria gene­rale della Flai Cgil — È una situa­zione che denun­ciamo e con­tra­stiamo da anni, incon­trando enormi dif­fi­coltà anche da parte di chi — poli­tica e isti­tu­zioni — dovrebbe dare rispo­ste forti e imme­diate. Moha­med è morto per­ché non poteva alzare la testa per chie­dere aiuto, non poteva far valere i suoi diritti».



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