Pensioni,Iva e debito è la Ue a ottenere di più piano quasi fotocopia dell’offerta di Juncker

Pensioni,Iva e debito è la Ue a ottenere di più piano quasi fotocopia dell’offerta di Juncker

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BRUXELLES. Quattordici giorni, un muro contro muro tra due strategie politiche antitetiche e cinque testi differenti. Un minestrone di burocrazia e politica all’interno del quale ognuno ha giocato la sua partita e oggi cerca di pescare i dati per presentarsi vincitore dinnanzi alla propria opinione pubblica. Una mano di poker giocata da Tsipras nel tentativo di mantenere Atene nell’euro e salvare il suo governo pur venendo meno alle roboanti promesse elettorali. Un azzardo degli europei che hanno rischiato – se il leader ellenico avesse tenuto duro fino al Grexit – di sfasciare l’eurozona per sconfiggere politicamente l’uomo di villa Maximos e mantenere intatte le regole della moneta unica.
Per capire cos’è successo dalla notte del 26 giugno, quando Tsipras ha fatto saltare il tavolo negoziale convocando il referendum, bisogna scavare dentro aridi testi scritti in burocratese. Il primo, quello che Tsipras ha sottoposto alla consultazione popolare: è datato 25 giugno, era già vecchio quando il governo greco ha indetto la consultazione popolare, superato dalla maratona negoziale delle successive 36 ore. Il secondo, messo in rete da Juncker il 28 giugno per dimostrare che in quel giorno e mezzo gli europei erano andati incontro a molte richieste greche e smascherare l’inconsistenza del testo sottoposto al voto. Un documento reso ancora più generoso nei giorni successivi in una serie di telefonate in cui Juncker ha cercato di convincere Tsipras a ritirare il referendum. E poi le due lettere del 30 giugno con le quali il primo ministro ellenico ha rifiutato le offerte di Juncker portando il Paese alla consultazione del 5 luglio. Infine la proposta firmata due giorni fa dai greci per arrivare ad un accordo a poche ore dall’inevitabile default.
Il punto della massima discordia è stato il taglio netto del debito ellenico, cavallo di battaglia di Varoufakis e del programma di Syriza. Non è mai entrato in alcuna proposta europea. Juncker per scongiurare il referendum aveva proposto di rendere esplicita la possibilità di spalmarne la restituzione nel tempo e a tassi più bassi, ma nella lettera del 30 giugno Tsipras ha continuato a pretendere l’haircut di fatto chiudendo ogni spiraglio di intesa prima del voto. Ora Tsipras e Tsakalotos non chiedono più la ristrutturazione, accettano il riscadenzamento.
Altro punto di discordia, il risanamento dei conti, ingrediente base dell’odiata austerity. Nel testo bocciato dai greci si prevedeva un avanzo primario del 3,5% nel 2018 da raggiungere a tappe, a partire dall’1% di quest’anno. Identico l’impegno assunto da ora da Tsipras, che però nel testo base dell’accordo inviato l’altro ieri a Bruxelles ha inserito una postilla per dimostrare di avere piegato gli europei: l’obiettivo «sarà ridiscusso con le istituzioni alla luce dei recenti sviluppi economici». Ma per modificarlo avrà pur sempre bisogno dell’ok degli altri governi.
Sull’Iva resta l’impegno di Atene di portare l’aliquota base al 23% per recuperare l’1% di Pil. Lo scontro fino all’ultimo è stato sulle esenzioni: il testo affossato dal referendum prevedeva di portare al 23% ristoranti e hotel, al 13% energia e alimentazione e lasciare al 6% le medicine. Chiedeva anche di eliminare le esenzioni per le isole da subi- to. La proposta Juncker accoglieva la richiesta di Iva ridotta al 13% per gli alberghi e restava fermo sulle isole. Alla fine le aliquote per ristoranti e alberghi sono le stesse previste da Juncker, con Tsipras che strappa la possibilità di rinviare fino al 2016 il completamento del taglio delle esenzioni per le isole e la possibilità di tenerle «per quelle più remote». Nella lettera del 30 giugno rifiutava però qualsiasi taglio. I greci dovranno anche abolire i sussidi agli agricoltori, ma potranno farlo entro il 2017.
Le istituzioni Ue chiedevano una sforbiciata della spesa militare di 400 milioni, Tsipras per venire incontro alle richieste degli alleati di destra di Anel, si ferma a 300 milioni in due anni. Sulle pensioni l’Europa ottiene che i greci dal 2022 si ritirino dal lavoro a 67 anni. Tsipras si impegna ad applicare la riforma del 2010 ma si discosta dal testo bocciato dal referendum ottenendo di sostituire parti di quella del 2012 con misure compensative: gli era già stato concesso da Juncker. Ma la vera guerra è stata sugli Ekas, i sussidi alle pensioni più basse. Il testo affondato dal “No” e quello di Juncker prevedevano di smantellarli entro fine 2019 partendo subito dagli assegni più alti. Tsipras ottiene di iniziare nel marzo 2016 e di addolcire l’effetto dei tagli con altre misure.
Sulla riforma del lavoro i greci salvano la contrattazione collettiva, ma anche su questo punto avevano già ottenuto un’apertura da Juncker prima del referendum. Infine Tsipras era partito con un secco no a tutte le privatizzazioni, ora accetta di vendere gli aeroporti regionali, i porti del Pireo e di Salonicco e l’Hellenikon. Salvo il monopolio elettrico.
Da questi dati emerge l’astuzia di Tsipras, che ha indetto il referendum alla ricerca di una legittimità popolare che gli permettesse di tenere compatta Syriza in Parlamento su un testo, quello attuale, che assomiglia molto a quello che avrebbe potuto firmare due settimane fa ma che può spacciare per migliore rispetto a quello che ha sottoposto al voto dei suoi cittadini. E si capisce anche come gli europei di fronte alla strategia di Tsipras non abbiano concesso quasi nulla pur di metterlo in difficoltà, magari facendolo cadere per dare una lezione politica a tutti i populisti che dai quattro angoli del Continente si sono agganciati al carro di Syriza e per affidare i soldi del salvataggio a un esecutivo ritenuto più affidabile. Di fatto in due settimane l’eurozona ha rischiato di spaccarsi, la Grecia è stata a un passo dal disastro finanziario e umanitario ma le medicine che i greci dovranno accettare sono rimaste più o meno le stesse.


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