Questioni aperte animalesche

Questioni aperte animalesche

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«E quando dico «uomo», mi rife­ri­sco essen­zial­mente alla sua vec­chia cul­tura, cul­tura d’arroganza, che lo ha posto al cen­tro dei sistemi, padrone e tor­tu­ra­tore, cor­rut­tore e ven­di­tore di ogni anima della vita». In que­sta sug­ge­stione con­se­gna­taci da Anna Maria Ortese nel suo Corpo cele­ste, vi sono ele­menti utili per com­pren­dere la rap­pre­sen­ta­zione dell’umano come nucleo dell’antropocentrismo, insieme alla ragione per cui lo si dovrebbe almeno guar­dare con sospetto. La posi­zione di quell’uomo al cen­tro dei sistemi è, infatti, sined­do­che di un modello più gene­rale che visi­va­mente ci si può facil­mente figu­rare con l’immagine vitru­viana leo­nar­de­sca, una pro­ter­via di cui i ter­mini padrone, tor­tu­ra­tore, cor­rut­tore e ven­di­tore sono pre­di­cati storico-politici di quel che è stato agito con­tro i viventi. Indi­vi­duati gli ele­menti di quella vec­chia cul­tura – esal­tata dalla dico­to­mia car­te­siana e dai suoi fan­ta­smi – l’umano emerge a disca­pito di altri e altre.

C’è una con­so­nanza con quanto Peter Sin­ger nel 1975 rico­no­sce allo spe­ci­smo, cioè il per­met­tere che «gli inte­ressi della sua spe­cie pre­val­gano su inte­ressi supe­riori dei mem­bri di altre spe­cie», nor­ma­zione simile a ses­si­smo e raz­zi­smo ma che tut­ta­via neces­sita di essere pre­ci­sata ulte­rior­mente: nella defi­ni­zione di antro­po­cen­tri­smo il rife­ri­mento non è alla sola discri­mi­na­zione ma a un dispo­ti­smo onto­lo­gico — e morale – dell’umano.

Un «mondo insieme»
Se le lotte anti­spe­ci­ste hanno mostrato la loro effi­ca­cia è gra­zie al movi­mento e a un lavoro teo­rico che porta in sé una cri­tica all’antropocentrismo insieme alla que­stione ani­male come aperta e deci­siva. Non solo per il vege­ta­ri­smo e il vega­ni­smo dun­que, ma per acco­glierne le istanze come sma­sche­ra­mento dell’eccezionalismo umano, vocato arbi­tra­ria­mente e «per natura» a un pri­mato che nasconde logi­che pro­prie­ta­rie, vio­lente e di sfrut­ta­mento. In que­sta pro­spet­tiva, all’antispecismo è capi­tato di allearsi sto­ri­ca­mente con altri posi­zio­na­menti altret­tanto radi­cali, e anche oggi è così: dal fem­mi­ni­smo al queer, pas­sando per l’ecologismo, l’anarchismo e tutti i movi­menti che rico­no­scano la vio­lenza inso­ste­ni­bile verso i viventi, l’ipertrofica pro­du­zione di enti/merci da degra­dare e distrug­gere.
I con­tri­buti di atti­vi­sti e teo­rici rispetto la que­stione ani­male — che ha ormai supe­rato la mera posi­zione sui diritti pre­di­li­gendo una postura inter­di­sci­pli­nare e con­ta­mi­nata dalle pra­ti­che – sono già esiti di comu­nità che al rigore scien­ti­fico affian­cano un senso etico e poli­tico di ripen­sa­mento del mondo, delle rela­zioni e della sua vivibilità.

Su que­sto cri­nale sono stati appena dati alle stampe due testi: par­tiamo dal primo, numero estivo di Libe­ra­zioni — tri­me­strale anti­spe­ci­sta pub­bli­cato dall’associazione omo­nima (anno VI, n. 21, pp. 123, euro 5) e risul­tato del call for papers inti­to­lato «Verso una nuova pro­spet­tiva delle rela­zioni tra umani e ani­mali: queer, mostri e zombi». Apre il numero l’intervista a Rosi Brai­dotti, curata da Eleo­nora Adorni e Mas­simo Filippi, inti­to­lata «Per amore di zoe». Brai­dotti avvia il ragio­na­mento dall’individuazione di un prin­ci­pio gerar­chico ed esclu­dente della spe­cie e con­clude con l’esigenza di de-edipizzarla.

Il para­digma dell’Uomo ha fon­dato pro­du­zioni discor­sive ege­mo­ni­che che intrat­ten­gono con gli altri viventi rap­porti di pura subor­di­na­zione e stru­men­ta­lità. Tale para­digma può essere cam­biato di segno in una pro­spet­tiva etica postu­mana – istanza cri­tica e affer­ma­tiva — e più esat­ta­mente in una zoe­po­li­tica lad­dove la potenza e l’eccedenza di zoe possa com­pren­dere rela­zioni dina­mi­che e tra­sfor­ma­tive della dico­to­mia umano/animale. Che si possa almeno ten­dere a fare mondo-insieme? Andando al cuore della que­stione ani­male da un punto di vista della dieta car­nea, Chloë Tay­lor indaga invece «gli appe­titi anor­mali». Ossa­tura dell’intero sag­gio è ovvia­mente il corso tenuto da Fou­cault al Col­lege de France tra il 1974 e il 1975, in cui com­pa­iono le lezioni dedi­cate a Gli anor­mali.

Non solo vam­piri
«Gli appe­titi ses­suali, al pari di quelli ali­men­tari con­ti­nuano a essere siti di nor­ma­liz­za­zione, ossia che il modo in cui man­giamo è un obiet­tivo di ciò che Fou­cault defi­ni­sce potere disci­pli­nare». Entrambe le nor­ma­liz­za­zioni si raf­for­zano vicen­de­vol­mente. Vege­ta­ri­smo e vega­ni­smo, indi­vi­duati in par­ti­co­lare nelle nar­ra­zioni di Mar­ga­ret Atwood, assu­mono così una rela­zione stretta con la pato­lo­giz­za­zione. Se è vero che il con­sumo incor­pora espres­sioni codi­fi­cate di potere, è inte­res­sante notare che l’identificazione delle donne alla vio­lenza inferta agli ani­mali non umani non con­si­ste tanto nell’auto-vittimizzazione quanto nella per­dita di con­tatto con la realtà nor­mata a cui fare ritorno per­ché una scelta diversa non è soste­ni­bile, pena un disor­dine morale ma anche fisico che in taluni casi può por­tare alla morte. Si intui­sce il pro­dromo di ciò che dalla fine degli anni ’90 viene spesso attri­buito alla scelta vege­ta­riana e vegana: il disturbo ali­men­tare di orto­res­sia nervosa.

Attra­verso la let­tura e l’analisi di due romanzi, Dra­cula di Bram Sto­ker e Twi­light di Ste­pha­nie Meyer, David Del Prin­cipe sonda invece il futuro del vega­ni­smo etico tro­vando un legame tra il vam­pi­ri­smo e il con­sumo di carne. Vam­piri e vegani pren­dono in con­si­de­ra­zione la sog­get­ti­vità – sia essa umana, disu­mana o non umana – e aiu­tano a com­pren­dere l’evoluzione delle pra­ti­che di con­sumo di carne, macel­lata (meat) o vivente (flesh). In que­sta dire­zione, i Cri­ti­cal Ani­mal Stu­dies, attra­verso lin­guag­gio e prassi, dovreb­bero soste­nere un para­digma post-specista.

L’intervento di Susan Stry­ker descrive una per­for­mance che si avvia pro­vo­ca­to­ria­mente dall’affinità del corpo mostruoso di Frank­en­stein e quello tran­ses­suale. È tut­ta­via un’articolazione della rab­bia che Stry­ker rivolge con­tro le con­di­zioni nelle quali deve lot­tare per esi­stere. Un testo di sin­go­lare potenza sia let­te­ra­ria che poli­tica in cui, come ina­spet­ta­ta­mente la crea­tura di Shel­ley prende la parola disat­ten­dendo la con­ce­zione insuf­fi­ciente di uma­nità del suo crea­tore, Stry­ker si sca­glia con­tro l’American Psy­chia­tric Asso­cia­tion che aveva defi­nito le per­sone tran­ses­suali al di sotto dell’umanità.

Della stessa forza sono anche gli inter­venti di Ellen Cam­p­bell su tran­sfem­mi­ni­smo ed eco­fem­mi­ni­smo alleati dis­si­mili in un mondo postu­mano, e quello di Emi­lio Mag­gio su meta­mor­fosi e dive­nire ani­male in una pro­spet­tiva deleu­ziana e seguendo le tracce di Kafka. Chiude il numero del tri­me­strale una inter­vi­sta curata da Mas­simo Filippi e Marco Reg­gio a Fede­rico Zap­pino in cui viene ulte­rior­mente disos­sata la distin­zione teorico-pratica tra norma sacri­fi­cale e norma ete­ro­ses­suale, per riba­dire che il para­digma della prima è già impli­cito nella seconda.

A dare conto della comu­nità poli­tica e di pra­ti­che scam­bie­voli che sostiene il discorso sulla que­stione ani­male è un altro volume, appena uscito per Mime­sis e curato dagli stessi Filippi e Reg­gio, bril­lante pas­sag­gio teo­rico per il dibat­tito.Corpi che non con­tano. Judith Butler e gli ani­mali (pp. 93, euro 10) è un lavoro a più voci dove viene inclusa anche una breve inter­vi­sta a Butler sull’argomento, insieme ai saggi dei cura­tori e di Richard Ive­son, James Sta­ne­scu e Fede­rico Zappino.

Par­tendo dalla coda, un legame ori­gi­nale tra il numero di Libe­ra­zioniCorpi che non con­tano è pro­prio il ragio­na­mento di Zap­pino che inter­roga la que­stione ani­male attra­verso la norma sacri­fi­cale e quella ete­ro­ses­suale, rin­trac­ciando nella prima il segno della que­stione ani­male. Per illu­mi­nare un altro grado di sog­get­ti­va­zione, Zap­pino scan­da­glia a par­tire da sé la rela­zione con l’immanenza di un desi­de­rio impli­cato già in que­sto sacri­fi­cio. Nono­stante l’ambivalenza di Butler circa il posto che gli ani­mali non umani dovreb­bero occu­pare, come nota Ive­son, secondo Filippi inter­ro­gare la filo­sofa sul tema dell’animalità signi­fica inter­lo­quire con una moda­lità da sem­pre dia­lo­gante capace di aprire a una cri­tica radi­cale sull’esistente.

Pro­vo­ca­zioni esi­sten­ziali
Già il titolo del volume che rivi­sita quello butle­riano del 1993, Bodies that mat­ters, sug­ge­ri­sce che tipo di spo­sta­mento si voglia intra­pren­dere con l’intersezione anti­spe­ci­sta, ovvero for­nire stru­menti per la pen­sa­bi­lità di rela­zioni inter­spe­ci­fi­che fon­date sul desi­de­rio anzi­ché sulla sopraf­fa­zione. È qui che si gioca il nodo dei corpi, nel discorso sulla «vita vivi­bile»; affin­ché non si cada nella tra­co­tanza tipica dell’antropocentrismo, è forse utile comin­ciare a nomi­nare gli ani­mali non umani come «esseri sen­suali» — a farlo è pro­prio Butler nell’intervista inse­rita nel volume. Se le cose stanno così, secondo Filippi gli ani­mali «non pos­sono non entrare a pieno titolo nella costi­tu­zione della comu­nità dei corpi vul­ne­ra­bili, aprendo in tal modo la strada a una prassi poli­tica che assuma pro­por­zioni ben più vaste di quella che sostiene riven­di­ca­zioni esclu­si­va­mente umane.
In breve gli altri ani­mali, in quanto sen­suali, sono esseri che pro­vo­cano». Anche qui il rife­ri­mento è al titolo di Butler Exci­ta­ble Spee­ches (1997). La domanda a que­sto punto potrebbe essere: che cosa e chi pro­vo­cano? È però il tema della vul­ne­ra­bi­lità che va a sgra­nare la strut­tura dell’interrogazione di que­sti corpi che non con­tano, stretti al lutto e alla pre­ca­rietà. Sta­ne­scu pensa che il lutto sia sem­pre un atto poli­tico, e quello che si mostra verso gli ani­mali prende le mosse dalla «vita pre­ca­ria», con­fe­ri­sce valore alla stessa vita e disfa la pre­sun­zione antro­po­cen­trica. Se il lutto è anche un atto di rico­no­sci­mento, quello per gli ani­mali «è com­ple­ta­mente disco­no­sciuto e gli ani­mali che di solito com­pian­giamo sono ano­nimi». Per­ché allora, si chiede Marco Reg­gio, gli ani­mali «da red­dito» non sono degni di lutto?

Forse biso­gna insi­stere sulle comu­nanze dei corpi vul­ne­ra­bili, quelli che stanno fuori dai conti. Corpi che scon­tano per­ché met­tono in rilievo «reti di inter­di­pen­denza che nor­mal­mente non ven­gono riconosciute».



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