Tsi­pras: «Non me ne vado e resisto»

Tsi­pras: «Non me ne vado e resisto»

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Grecia. La direzione di Syriza chiede al governo di non sostenere le misure e di dimettersi per andare a elezioni in contemporanea con quelle spagnole. Tsakalotos boccia l’intesa: «È inapplicabile».

Dimen­ti­cate l’Alexis Tsi­pras del refe­ren­dum e pure quello della vit­to­ria elet­to­rale di gen­naio. L’uomo che com­pare in tele­vi­sione alle 22 per pro­vare a difen­dere l’accordo impo­sto­gli dopo 17 ore di Euro­sum­mit sem­bra un’altra per­sona: dimesso nei toni, pro­ba­bil­mente stanco, sulla difen­siva anche se, respon­sa­bil­mente, dice di «non voler scap­pare, lasciando il paese nella cata­strofe». Per­ché è di que­sto che stiamo par­lando: un pre­mier sotto ricatto costretto ad appro­vare quat­tro riforme in un solo giorno, costi quel che costi, per evi­tare che gli venga tolto anche quel po’ d’ossigeno ancora garan­tito dalla Bce.

Il lea­der di un paese sull’orlo del pre­ci­pi­zio, alle pre­se con un’operazione improba, quella di far dige­rire alla Gre­cia, prima ancora che al suo riot­toso par­tito, un piano lacrime e san­gue dopo cin­que mesi alla testa di bat­ta­glie con­tro l’austerità. Oggi si vedranno i risul­tati: quanti nel suo par­tito lo segui­ranno? Cosa acca­drà all’esterno del Par­la­mento, dove il governo di Syriza si tro­verà a fron­teg­giare per la prima volta una pro­te­sta di piazza, gui­data dai dipen­denti pub­blici a rischio licenziamento?

Il pre­mier greco sa bene che nel pome­rig­gio la dire­zione nazio­nale del suo par­tito, Syriza, alla quale non ha par­te­ci­pato, ha detto no all’accordo chie­dendo le dimis­sioni del suo governo (sia pur difen­dendo il suo ope­rato) e un per­corso che porti alle ele­zioni anti­ci­pate a novem­bre, in con­co­mi­tanza con il voto spa­gnolo. Ma ha deciso di tirare dritto, nono­stante la sua linea sia finita in mino­ranza, tro­vando l’opposizione non solo della Piat­ta­forma di sini­stra (che ha annun­ciato il suo voto con­tra­rio oggi in Par­la­mento), ma di un fronte più ampio che dalla base del par­tito (i gio­vani di Syriza l’altra sera erano in piazza con­tro il Memo­ran­dum insieme agli anta­go­ni­sti di Antar­sya e agli anar­chici) sale fino al segre­ta­rio gene­rale Tasos Koro­na­kis, che in dire­zione ieri ha par­lato di «accordo poli­ti­ca­mente inge­sti­bile» e di «misure inap­pli­ca­bili per un governo di sini­stra», ma soprat­tutto ha fatto sapere che lui non farà il segre­ta­rio di un par­tito «tra­sfor­mato dal Memorandum».

Una patata bol­lente di non poco conto, per Tsi­pras, che ha pre­fe­rito andare in tv per pro­vare a spie­gare ai greci che «l’accordo è duro, ma non taglie­remo sti­pendi e pen­sioni» e che «dopo tre anni si potrà tor­nare a cre­scere», che il nuovo Memo­ran­dum è migliore di quello boc­ciato per­ché «prima si par­lava di 18 miliardi per cin­que mesi e poi un nuovo piano di auste­rità» e invece «ora, dopo il refe­ren­dum, ci siamo assi­cu­rati entrate mag­giori e stiamo par­lando di crescita».

Men­tre il pre­mier si pre­pa­rava ad andare in tv, l’altro nego­zia­tore Euclide Tsa­ka­lo­tos, il mar­xi­sta con lo zai­netto che ha sosti­tuito l’amico e col­lega Yan­nis Varou­fa­kis appena una set­ti­mana fa, par­lava al par­tito con altre parole: «Que­sto accordo è poli­ti­ca­mente inge­sti­bile ed è estre­ma­mente dif­fi­cile che dal punto di vista eco­no­mico si possa rea­liz­zare». Quanto ampio sarà il dis­senso in aula oggi è dif­fi­cil­mente pro­no­sti­ca­bile, ma è pro­ba­bile che dif­fi­cil­mente Tsi­pras riu­scirà a com­pat­tare la mag­gio­ranza con­vin­cen­dola a «baciare il rospo» del Memo­ran­dum come i comu­ni­sti ita­liani al tempo del governo Dini (ma in una situa­zione molto meno dram­ma­tica). Tanti i mal di pan­cia nel governo: dal mini­stro dell’Energia Pana­gio­tis Lafa­za­nis (lea­der della Piat­ta­forma di sini­stra), che ha spa­rato a palle inca­te­nate con­tro l’accordo, al tito­lare del Lavoro (ed ex por­ta­voce di Tsi­pras quando que­sti era segre­ta­rio di Syriza) Panos Skour­le­tis, che ha pro­no­sti­cato «ele­zioni anti­ci­pate», i con­trari all’accordo com­pren­dono pure il mini­stro della Pre­vi­denza sociale Dimi­tris Stra­tou­lis e i vice­mi­ni­stri della Difesa e degli Esteri, Isi­chos Kostas e Nikos Choun­tis, non­ché la popo­lare pre­si­dente del Par­la­mento Zoe Kon­stan­to­pou­lou e l’immancabile Varou­fa­kis, che ieri ha par­lato di un golpe «simile a quello dei colon­nelli nel 1967» (e Tsi­pras gli ha rispo­sto in diretta tv che «essere un eccel­lente stu­dioso non signi­fica neces­sa­ria­mente essere un buon politico»).

È pro­ba­bil­mente anche per que­sto che il segre­ta­rio Koro­na­kis ieri ha fatto appello all’«unità del par­tito», evi­tando «can­ni­ba­li­smi» e chie­dendo al governo di dimet­tersi, per arri­vare a nuove ele­zioni a novem­bre, in coin­ci­denza con quelle spa­gnole per raf­for­zarsi a vicenda con Pode­mos. Un per­corso senza dub­bio arduo, per­ché in man­canza dell’approvazione delle misure con­cor­date all’Eurosummit il rischio di un default incon­trol­lato è die­tro l’angolo. Ma di que­sti e altri sce­nari si par­lerà dopo lo sho­w­down di oggi, quando dall’ampiezza del dis­senso si capirà se Tsi­pras ha vinto la sua sfida interna e fin dove potrà spin­gersi. Per ora, assi­cura di non voler «lasciare il paese nella catastrofe».



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