Un passo indietro per farne due avanti in Europa

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«Por­terò con orgo­glio il disprezzo dei cre­di­tori verso di me»: parole piene di dignità quelle di ieri di Yanis Varou­fa­kis che cor­ri­spon­dono all’originalità della per­sona e alla fase della crisi greca — non­ché al visi­bile com­plesso d’inferiorità che l’establishment euro­peo deve sem­pre aver pro­vato di fronte alla sua sta­tura di sta­ti­sta ed eco­no­mi­sta mar­xi­sta di valore internazionale.

Parole e scelta ina­spet­tate per­ché annun­ciate appena il giorno dopo la vit­to­ria del no con­tro i dik­tat della troika. Come dice Ale­xis Tsi­pras, «per lot­tare per la libertà ser­vono virtù e coraggio».

C’è già chi para­gona il gesto di Varou­fa­kis a «Cin­cin­nato», chi sapien­te­mente torna sulle sfor­tune di Dio­niso rac­con­tate nel kylix di Exe­kias alle prese con gli etru­schi «del­fini», chi addi­rit­tura richiama alla memo­ria la scelta di allon­ta­narsi da Cuba fatta da Che Gue­vara d’accordo con Fidel Castro. Si rischia così però di fare della mito­lo­gia, antica o moderna che sia.

Qui al con­tra­rio ci tro­viamo di fronte ad una scelta imme­diata, stra­te­gica e con­sa­pe­vole: «Mi dimetto per favo­rire l’accordo». Si intui­sce l’accordo con­sen­suale (lo con­ferma la nomina al mini­stero delel Finanze al suo posto di Euclid Tsa­ka­lo­tos, for­te­mente legato a Varou­fa­kis ed espo­nente della piat­ta­forma di sini­stra di Syriza) tra i due diri­genti che, forti dell’immenso soste­gno popo­lare che arriva dai risul­tati del refe­ren­dum, hanno deciso di togliere, con que­sta mossa dolo­ro­sis­sima per entrambi, ogni alibi all’intransigenza della troika. Che ora non può più trin­ce­rarsi die­tro la pre­sunta «arro­ganza» dell’«intrattabile» e fuori dagli schemi, media­tore Varoufakis.

Il sacri­fi­cio di Varou­fa­kis, più che l’evento mito­lo­gico di rife­ri­mento, mostra la capa­cità di rispon­dere al «peso» della vit­to­ria. Nel senso della poe­sia di Costan­tino Kava­fis Che fece…il gran rifiuto (ispi­rata ai versi della Divina Com­me­dia di Dante) di più d’un secolo fa ma che sem­bra scritta in occa­sione del refe­ren­dum greco: «Per alcuni uomini giunge il giorno in cui/ devono pro­nun­ciare il grande Sì o il grande/ No. È chiaro sin da subito chi lo ha/ pronto den­tro di sé il Sì e pronunciandolo/ si sente più rispet­ta­bile e risoluto./ Chi rifiuta non si pente. Se glielo richiedessero,/ «no» pro­nun­ce­rebbe di nuovo. Eppure quel no — / quel no giu­sto lo annienta per tutta la vita».

Una rinun­cia, quella di Yanis Varou­fa­kis, che sot­to­li­nea l’originale dram­ma­ti­cità della sini­stra greca e della sua sto­ria. Intes­suta della neces­sità di rom­pere un pro­fondo iso­la­mento. Già nel secondo dopo­guerra con la dispe­ra­zione e scon­fitta san­gui­nosa della guerra civile con­ti­nuata dai comu­ni­sti con­tro i nuovi occu­panti bri­tan­nici, dopo la scon­fitta di quelli nazisti-fascisti.

Una scon­fitta con­su­mata, oltre che per i gravi errori dei comu­ni­sti greci, sull’altare di Yalta e di Sta­lin ma anche per respon­sa­bi­lità di Tito, l’emergente lea­der jugo­slavo anti-stalinista. Poi, men­tre in tutta Europa esplo­deva il ’68, in Gre­cia la sini­stra soc­com­beva già da un anno alla dit­ta­tura mili­tare dopo il golpe dei colon­nelli, soste­nuta dalla Nato. Il riscatto fu la rivolta del Poli­tec­nico del ’74. Ancora una volta per riven­di­care la spe­ci­fi­cità della crisi greca di fronte all’ordine mon­diale della Guerra fredda e alla sostan­ziale indifferenza-connivenza dell’Europa.

Ora la sini­stra — prima com­po­sita e ora con Syriza final­mente unita — che il lea­der Ale­xis Tsi­pras ha por­tato al governo del Paese dopo il disa­stro della destra, è impe­gnata nella diver­sità più dif­fi­cile: con­trad­dire il neo­li­be­ri­smo e l’economicismo dell’Unione euro­pea ridotta solo ad una moneta e al ruolo di recu­pero cre­diti al ser­vi­zio del Fmi.
Come dice Ale­xis Tsi­pras, «per lot­tare per la libertà ser­vono virtù e coraggio».



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