Da incendiario a pompiere la metamorfosi di Alexis che ha spiazzato il Paese

by redazione | 21 Agosto 2015 10:24

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«La Grecia ha voltato pagina. Oggi abbiamo scritto la storia. La Troika è il passato e abbiamo chiuso per sempre con l’austerità ». Avesse saputo allora come sarebbe andata a finire, Alexis Tsipras – forse – avrebbe usato altre parole. Quella notte tra il 25 e il 26 gennaio 2015, sul palco ai Propilei davanti a una folla in festa per il trionfo elettorale, tutto sembrava possibile, anche che Davide sconfiggesse Golia. «Trasformeremo la Ue dal suo interno » prometteva. Oggi, duecentosette giorni dopo, è tutta un’altra storia: l’Europa è rimasta se stessa, la Troika ha imposto ad Atene un nuovo piano d’austerity lacrime e sangue. A cambiare pelle invece è stata Syriza: il partito è spaccato in due. Il fuoco amico dell’ala radicale anti-memorandum in Parlamento ha affondato il governo. E la metamorfosi di Tsipras – partito incendiario e finito pompiere causa asfissia finanziaria imposta dai creditori – andrà ora all’esame delle urne, da cui lui, paradossalmente e per mancanza di avversari, potrebbe uscire addirittura più forte di prima.
Niente, all’inizio, lasciava pensare che sarebbe potuta andare così. Anzi. I primi passi sul palcoscenico continentale dell’esecutivo sono stati all’altezza di chi si aspettava un’opposizione barricadera ai falchi del rigore. Attore protagonista, ovviamente, Yanis Varoufakis, il “marxista erratico” dice lui – “al caviale” per i nemici – che ha fatto saltare tutte le regole di
bon ton della Ue pur di ottenere quel taglio del debito necessario, ipse dixit, a salvare la Grecia. La divisione dei ruoli, nei primi mesi di trattative, è stata da manuale: Tsipras nel ruolo di poliziotto buono, certo dell’appoggio di Italia e Francia e in attesa del trionfo di Podemos a Madrid. Il suo ministro centauro nel ruolo di quello cattivo. Lanciato come un ariete contro la Troika – definita «un’istituzione marcia» in una memorabile conferenza stampa con Jeroen Dijsslebloem, uscito nero in volto senza stringergli la mano – e contro i parrucconi dell’Eurogruppo, rimasti di sasso quando il vulcanico Yanis ha ammesso di aver registrato la tempestosa riunione di Riga in cui era stato aggredito dai colleghi.
La strategia della tensione, all’inizio, ha pagato. A fine febbraio Syriza ha ottenuto un prolungamento degli aiuti al 30 giugno mentre il Parlamento, malgrado i “niet” della Troika, ha approvato alcune leggi umanitarie incluse nel programma elettorale.
L’Fmi ha iniziato a fare pressing per ridurre il debito ellenico. Syriza ha continuato a crescere nei sondaggi. La legge del più forte però (finanziariamente parlando) ha ribaltato gli equilibri. Parigi e Roma, temendo che le concessioni ad Atene avrebbero rafforzato i populismi anti-euro domestici, si sono schierati senza se e senza ma con Berlino. Syriza a giugno si è trovata sola davanti a Golia, costretta a imporre i controlli di capitali a un’economia tornata in recessione. Che fare? I semi della scissione sono germogliati allora, quando è stato chiaro che il coltello (o meglio il portafoglio) dalla parte del manico l’aveva la troika. La sinistra di Syriza, davanti al ricatto finanziario, ha iniziato a coltivare il sogno di tornare alla dracma. Varoufakis ha accarezzato l’idea di una valuta parallela e bloccato il rimborsi dei debiti con l’Fmi per costringere i creditori a capitolare («non possono permettersi di farci uscire dall’euro», il suo mantra). I fedelissimi di Tsipras invece, quando hanno capito che a spingere per la Grexit erano Scaheuble & C., hanno iniziato a tirare il freno.
Il redde rationem, il giorno che ha segnato l’inizio della fine del governo, è il 5 luglio, quando i greci sono stati chiamati al referendum per dire sì o no alla nuova austerità. L’”Oxi” ha trionfato con il 61,3%. «Quando sono andato a trovare Tsipras ero convinto di trovarlo pronto allo scontro con la Ue», ha confidato Varoufakis. Invece no. Il premier, complice un drammatico rapporto sulle conseguenze del ritorno alla dracma presentatogli a Bruxelles, ha scelto la via della prudenza. Il falco Varoufakis si è dimesso. Il successore Euclid Tsakalotos ha scelto di fare la colomba.
E in pochi giorni – «per evitare una catastrofe e rispettare la volontà dei greci di rimanere nell’euro», ha spiegato Tsipras – ha firmato un piano «che non mi piace» ma tiene Atene nella moneta unica. Il resto è storia di oggi. La rivolta dentro Syriza («abbiamo tradito le promesse»), un terzo del partito che vota contro il governo, arrivato alla firma del memorandum grazie alla stampella di chi (Pasok e Nea Demokratia) ha portato il paese nel baratro.
«La sinistra al potere non può essere una parentesi di sette mesi», ha detto Manolis Glezos, il partigiano che nel ‘41 ha ammainato la svastica dal Partenone. Si vedrà chi tra la sinistra “realista” di Tsipras e quella radicale dei dissidenti – opposizione permettendo – riuscirà ora a convincere davvero gli elettori.
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