I 240 mila morti siriani che non fanno notizia

I 240 mila morti siriani che non fanno notizia

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Oltre 200mila morti dal 2011: un numero che molti gior­nali stra­nieri infi­lano da qual­che tempo in fondo ad ogni arti­colo dalla o sulla Siria. Un numero che oscilla dai 230mila cal­co­lati dall’Onu ai 240mila dell’ultimo rap­porto dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, citato ieri dalla stampa. Di que­sti 72mila sono civili (12mila bam­bini); 88mila sol­dati dell’esercito, mem­bri di Hez­bol­lah e mili­ziani sciiti stra­nieri; 42mila mili­ziani delle oppo­si­zioni, jiha­di­sti e com­bat­tenti kurdi; 34mila mili­ziani stranieri.

Viene ricor­dato nell’ultimo para­grafo di ogni arti­colo, una sta­ti­stica, un’informazione che com­pleta il qua­dro di una guerra bru­tale che mai è stata solo civile, ma fin da subito glo­bale. Chissà in quanti – gior­na­li­sti e let­tori – si fer­mano a pen­sare all’oscenità di quel numero. Alla sua intrin­seca vio­lenza, alla sua con­creta distruttività.

240mila morti in 4 anni e mezzo sono 55mila morti l’anno, 4.500 al mese, 150 al giorno. Una strage quo­ti­diana, mar­tel­lante, che si uni­sce all’altro enorme e spesso dimen­ti­cato dramma dei pro­fu­ghi. Per ten­tare di non morire nel macello siriano si scappa: 4 milioni di per­sone sono fug­gite in Tur­chia, Libano, Gior­da­nia, Egitto, Iraq. E chi non trova sicu­rezza nel resto del Medio Oriente (con un Libano insta­bile che tenta di fre­nare il flusso di rifu­giati chiu­dendo le fron­tiere o strac­ciando i visti di sog­giorno, o con la Tur­chia che annun­cia che non rila­scerà più per­messi di lavoro ai rifu­giati siriani), chi non rie­sce a soprav­vi­vere prende la via del mare e spera che il Medi­ter­ra­neo non lo inghiotta.

I siriani prima della guerra civile non fug­gi­vano dal loro paese, che non garan­tiva libertà di parola ma scuola e sanità gra­tuita, un’economia abba­stanza solida, ser­vizi, libertà di reli­gione. Non certo un governo demo­cra­tico, quello di Assad, con­tro le cui forme di repres­sione poli­tica e sociale i siriani sono scesi in piazza sull’onda emo­zio­nante delle cosid­dette pri­ma­vere arabe. Chie­de­vano libertà di orga­niz­za­zione e espres­sione, riforme costi­tu­zio­nali, la fine dell’ufficioso sistema del par­tito unico.

In cam­bio hanno avuto una guerra civile, gui­data dall’esterno attra­verso oppo­si­zioni in esi­lio che si sono fatte fago­ci­tare dall’ampio fronte regio­nale e glo­bale anti-Damasco (e anti-Teheran). Chi ricorda gli Amici della Siria, che hanno occu­pato per mesi le pagine dei gior­nali, con­si­de­rati dalle opi­nioni pub­bli­che mon­diali il piede di porco per scar­di­nare la resi­stenza di Dama­sco? Chi ricorda la Coa­li­zione Nazio­nale, per l’Occidente unico rap­pre­sen­tante del popolo siriano, inca­pace di man­te­nere il suo Eser­cito Libero sul campo di bat­ta­glia e ormai assente dal discorso diplo­ma­tico a causa di una con­tro­pro­du­cente osti­na­zione a non negoziare?

Scal­zati da nomi ben più potenti, i qae­di­sti di al-Nusra e i jiha­di­sti del “califfo” al-Baghdadi. Che dalla loro hanno appoggi altret­tanto validi di quelli occi­den­tali: petro­mo­nar­chie del Golfo e Tur­chia. Su tutti loro pesano quei 240mila morti e la distru­zione di un paese che è il cuore poli­tico e sim­bo­lico del Medio Oriente.

I jiha­di­sti hanno distrutto Pal­mira e Nim­rud; gli altri Aleppo e Dama­sco. Nono­stante ciò il grande nemico, il “macel­laio” Assad è ancora al suo posto, a gui­dare il terzo di Siria che gli resta. Le riforme costi­tu­zio­nali pen­sate dal governo dopo le mani­fe­sta­zioni di piazza della pri­ma­vera 2011 non sono mai state messe in pra­tica. Oggi tor­nano sul tavolo del nego­ziato ripro­po­sto dall’Iran.

Per ora nes­suno risponde, se non l’Arabia sau­dita che – dicono fonti interne – avrebbe girato ad Assad la pro­pria per­so­nale solu­zione alla crisi: stop al sup­porto alle oppo­si­zioni a Dama­sco in cam­bio del ritiro di forze ira­niane e mili­ziani di Hez­bol­lah dal paese. Solo così, dice Riyadh, si potrà andare a ele­zioni nazio­nali sotto la super­vi­sione inter­na­zio­nale. Ma senza Assad: da Roma dove ha incon­trato il mini­stro degli Esteri Gen­ti­loni, quello sau­dita Adel al-Jubeir ha trac­ciato l’identikit della tran­si­zione poli­tica: governo di unità nazio­nale che guidi il paese alle ele­zioni e modi­fi­chi la costi­tu­zione, ma senza la par­te­ci­pa­zione dell’attuale presidente.

Le pro­po­ste sau­dite e occi­den­tali non ten­gono conto della realtà sul ter­reno. Per­ché l’obiettivo è altro: non rico­no­scere ai siriani diritto di auto­de­ter­mi­na­zione e libertà, ma distrug­gere la Siria per distrug­gere l’asse sciita, ridi­se­gnare i con­fini medio­rien­tali, disin­te­grare i grandi paesi per ren­derli più facil­mente con­trol­la­bili. Ecco per­ché 240mila morti non fanno più notizia.



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