Retate a Ferguson ma ora fanno paura le “milizie bianche”

Retate a Ferguson ma ora fanno paura le “milizie bianche”

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NEW YORK . Armati fino ai denti, indossando giubbotti anti-proiettili e divise mimetiche, pattugliano dall’alba di ieri le strade dei quartieri neri di Ferguson. E infiammano ancor più le tensioni razziali nella cittadina del Missouri, dove un anno fa un po-liziotto bianco uccise il diciottenne afroamericano Michael Brown e dove ancora proseguono gli arresti, le sparatorie, i saccheggi.
Si fanno chiamare Oath Keepers (“difensori del giuramento”): sono tutti bianchi, tutti ex soldati o ex poliziotti, e dicono di essere lì solo per proteggere gli innocenti e i giornalisti di Inforwars. com, una testata online di estrema destra. «Ma in realtà sono un gruppo militarista », denuncia il South Poverty Law Center. «La loro presenza è inutile e ha solo un effetto provocatorio », rincara la dose Jon Belmar, il capo della polizia della contea di St. Louis, che teme un confronto diretto, e sanguinario, tra i rambo bianchi e i militanti afro-americani.
Non è affatto una paura infondata, quella di Belmar. Da quando domenica pomeriggio le manifestazioni pacifiche per l’anniversario della morte del giovane Brown hanno ceduto il passo alla violenza, a Ferguson la situazione sembra sempre più incontrollabile. Nella zona sono arrivati gruppi molti diversi tra di loro, con obiettivi spesso contrastanti. Lunedì è stato incriminato il diciottenne Tyron Harris, un amico di Michael Brown, che la notte prima aveva sparato con una pistola rubata contro altre bande di afroamericani e contro alcuni poliziotti in borgese: che poi l’hanno inseguito, ferito e arrestato. Sempre lunedì il capo della contea Steve Stanger ha decretato lo stato di emergenza, che è ancora in vigore, ma che non ha impedito nuove proteste e nuovi arresti.
A finire in manette non sono stati solo un centinaio di ragazzi che avevano bloccato le strade e sfidato lo stato di emergenza al grido di “Black Lives Matter” (“contano anche le vite dei neri”), ma anche un nutrito gruppo di attivisti ed esponenti religiosi, tra cui il celebre intellettuale Cornel West, professore di filosofia e autore di decine di libri, tra cui Race Matters (“La razza conta”). Insieme agli altri, West ha scavalcato illegalmente le transenne davanti al palazzo di giustizia di St. Louis ed è stato subito arrestato.
Il suo obiettivo? Denunciare con un atto di disobbedienza civile l’immobilismo della Casa Bianca di Barack Obama e del ministero della giustizia: che non hanno fatto niente per invertire la rotta e commissariare la polizia di Ferguson, nonostante la consapevolezza di un razzismo dilagante.
In questo clima così teso, è inevitabile che la presenza degli Oath Keepers a West Florissant Avenue, nel quartiere afroamericano dove viveva Michal Brown, e fu ucciso nell’agosto 2014, venga interpretata molto male. «È una ignobile provocazione », dice Talal Ahmad, 30 anni, intervistato dal Washington Post . D’altra parte le autorità di Ferguson hanno le mani legate da norme statali che, all’estero, appaiono incomprensibili. Un emendamento del 2014 alla costituzione del Missouri, infatti, sancisce il diritto a girare con le armi in bella vista, purché siano legali e non impugnate in modo minaccioso. Loro, i miliziani, si limitano a tenere la canna dei fucili automatici rivolti al basso. E insistono, anche se nessuno ci crede, che sono lì solo per difendere la Costituzione americana.


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