Sessanta cristiani rapiti in Siria «I nomi nella lista nera dell’Isis»
Nella città, come prevedeva Mourad, gli estremisti sono entrati. Le truppe irregolari di Abu Bakr al Baghdadi hanno conquistato Qaryatain e portato via almeno 230 civili, tra loro 60 cristiani, anche donne e bambini. «Hanno cercato casa per casa — racconta Rami Abdel Rahman che dirige a Londra l’Osservatorio siriano per i diritti umani — le persone accusate di collaborare con il regime. Avevano una lista».
A Qaryatain, nel centro della Siria tra Damasco e Homs, in questi 4 anni e mezzo di guerra sono fuggiti i cristiani che vivevano nella zona di Aleppo perché la città era conosciuta nel Paese come un’oasi di tolleranza: i 18 mila sunniti e i 2 mila siro-cattolici vivevano insieme senza attriti. La popolazione cristiana sarebbe ormai ridotta a 180 persone. «Non sappiamo di preciso quale sia la situazione — spiega da Damasco il vescovo Matta Al Khoury all’agenzia France Presse —, alcune famiglie sono state arrestate e obbligate a restare in casa, i fondamentalisti vogliono usarle come scudi umani».
Lo Stato Islamico avanza da oriente, dal deserto che circonda Palmira, verso le montagne al confine con il Libano. I miliziani vogliono interrompere i collegamenti tra Homs e Damasco, premere sulla capitale-fortezza di Bashar Assad. «Con l’offensiva stanno compiendo anche una pulizia religiosa, non la chiamo etnica, perché noi siamo della stessa etnia dei musulmani in Siria», commenta Ignace Youssif III Younan, patriarca della chiesa siro-cattolica, a Radio Vaticana. «Non ci vogliono e tutto questo è colpa di quei governanti machiavellici che pensano solo a cercare le opportunità economiche, a loro poco importa della libertà religiosa di queste comunità in Medio Oriente». Il parlamento iracheno calcola che dopo l’invasione un anno fa della piana di Ninive e la cattura della città di Mosul oltre 2 mila persone, non solo cristiani, siano state uccise per «tradimento».
Amnesty International denuncia il sequestro a Qaryatain come un crimine di guerra e Human Rights Watch ricorda le responsabilità del regime da quando Assad ha dato l’ordine di reprimere le manifestazioni pacifiche nel marzo del 2011, da allora i morti sono almeno 250 mila: «Gli orrori commessi dallo Stato Islamico — scrive Kenneth Roth — sembrano rappresentare la minaccia più grave per i civili. Quel primato ignobile va invece alle “botti bomba” sganciate dal governo sui quartieri delle città: riempite di esplosivo e frammenti di metallo, sono così imprecise che l’esercito non le lascia cadere vicino alle sue postazioni. Si è creato il paradosso dei civili che considerano la prima linea più sicura di casa loro. Le azioni del Califfato ci hanno distratto da questa realtà».
L’accordo sul nucleare iraniano (Teheran sostiene Assad) sembra aver riaperto i contatti per trovare una soluzione al conflitto. Ne hanno discusso ieri a Roma anche Paolo Gentiloni, il ministero degli Esteri italiano, e il saudita Adel Al Jubeir. Per la monarchia del Golfo il leader siriano può solo scegliere tra andarsene o «essere sconfitto con le armi».
Davide Frattini
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