Sud, 90 miliardi bloccati e quelli spesi si sono dispersi in 907mila microprogetti

Sud, 90 miliardi bloccati e quelli spesi si sono dispersi in 907mila microprogetti

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ROMA. Un mare di soldi bloccato. Fermo. Centoquattro miliardi da spendere subito. E di questi, oltre 87 col bollino del Sud. Destinati cioè a quel meridione d’Italia «a rischio di sottosviluppo permanente» e che cresce la metà della Grecia, ricorda lo Svimez. Com’è possibile? Colpa solo delle amministrazioni locali lente e incapaci, magari sin troppo propense ai «piagnistei » rimproverati da Renzi? In parte, certo. Ma la macchina mi-liardaria dei fondi, europei e nazionali, si è inceppata dalla testa. Burocrazia, ma anche e soprattutto politica.
L’analisi cruda dei numeri racconta un «piano Marshall» per il Mezzogiorno, evocato ieri dalla ministra dello Sviluppo Federica Guidi nell’intervista a Repubblica , che nei fatti e nei denari già esiste. Non solo. Si scopre che la metà del non speso, ben 50 miliardi, si riferisce addirittura al periodo 2007-2013. In questi nove anni l’Italia è riuscita a utilizzare appena il 46% delle risorse a disposizione, polverizzandole tra l’altro in un milione di progetti. Per la precisione, 907 mila 372. Dall’America’s Cup di Napoli (5,8 milioni) alla campagna “Voglio vivere così” della Toscana (13,4 milioni). Avanzano dunque 50 miliardi della vecchia programmazione (dei 91 totali iniziali). E se non si corre, una parte andrà restituita.
Entro Capodanno, il governo deve difatti spedire a Bruxelles un maxi-scontrino da 12,3 miliardi di fondi europei (cofinanziati dall’Italia) con la data di scadenza. Il resto dei 50 miliardi – fondi nazionali, questi – non rischia invece il binario morto, dunque non andranno perduti né saranno richieste fatture. Ma la stasi sì. Si tratta del Fondo sviluppo e coesione e del Piano di azione e coesione. Sigle non certo popolari (Fsc e Pac), ma fondamentali bacini per gli investimenti nel Sud in infrastrutture, inclusione, formazione, occupazione. Eredi di quel fondo Fas per le aree sottoutilizzate ( dunque il meridione), saccheggiato nel recente passato come bancomat di Stato da governi d’ogni colore, per alimentare un po’ di tutto: cassa integrazione in deroga, multe per le quote latte, la Brebemi, il G8 doppio (Maddalena e L’Aquila). Da buona ultima, anche la legge di Stabilità per il 2015 ne ha prelevato una fettina da tre miliardi e mezzo per finanziare gli sgravi contributivi (soldi del Sud che hanno di fatto beneficiato soprattutto il Nord, il più vivace nelle assunzioni).
Centoquattro miliardi fermi, si diceva. Cinquanta per il passato, come visto. Altri 54 per il nuovo periodo di programmazione, 2014-2020. Parliamo dell’Fsc (Fondo sviluppo e coesione): soldi nazionali tradizionalmente destinati alle grandi opere, le infrastrutture strategiche del Paese. L’ultima legge di Stabilità ne ha cambiato la
mission , dirottandoli alla «specializzazione intelligente», dunque ricerca e innovazione e agenda digitale. Non riusciamo a spendere i denari per fare le strade, mettiamoli sulle infrastrutture immateriali, è stato il ragionamento. Tra marzo e aprile, però, l’iter si è congelato. Il Cipe avrebbe dovuto procedere con le delibere (la torta di questo Fondo è gestita in toto dal Comitato interministeriale per la programmazione economica). Ma non l’ha fatto. Graziano Delrio, l’allora sottosegretario di Palazzo Chigi con delega proprio ai fondi europei, è stato spostato alla guida del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ha giurato il 2 aprile). Ottenendo di portarsi dietro proprio quel fondo, l’Fsc con i suoi 54 miliardi (e sperando di tornare alla mission originaria, cioè le infrastrutture). Una promessa politica del premier Renzi, ad oggi ancora non attuata. Come pure la delega ai fondi Ue, in teoria slittata nelle mani del nuovo sottosegretario Claudio De Vincenti, mai formalizzata. Tutto fermo.
Chi sovraintende da Roma dunque i fondi Ue? Non certo l’Agenzia della coesione, diretta da Maria Ludovica Agrò, di fatto insediata da appena tre mesi (dopo un anno di gestazione). E ancora alle prese con le assunzioni. Dunque Palazzo Chigi. Il premier Renzi ha ereditato il buon lavoro impostato da Delrio, ma poi forse l’ha un po’ accantonato. Di qui la stasi. Certo, va detto che 40 dei 50 programmi di spesa dei nuovi fondi Ue sono stati già approvati da Bruxelles e il governo intende accelerare sui restanti 10. La partita per il 2014-2020 vale in tutto però 138 miliardi (fondi europei più nazionali, Fsc incluso). Una cifra davvero enorme. Da governare.
«Un Paese normale si può permettere di avere ancora il 50% di vecchi fondi da spendere a meno di sei mesi dalla scadenza, con la più grande area depressa d’Europa?», si chiede Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. La Uil tra l’altro calcola che dei 12 miliardi di fondi Ue in scadenza, almeno 2 sono a rischio concreto di restituzione. Si vedrà.


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