Attacco a Berlino attentatore islamista accoltella un’agente

Attacco a Berlino attentatore islamista accoltella un’agente

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BERLINO . Il terrorismo islamista torna a colpire in Europa, questa volta nel cuore di Berlino, a pochi chilometri dalla Cancelleria dove lavora Angela Merkel. Rafik Y. (il cognome è taciuto in osservanza delle severe leggi di difesa della sfera privata), ha attaccato con un coltello una poliziotta 44enne alle 9,48 del mattino nel quartiere borghese-popolare di Spandau, nel settore Ovest, e l’ha gravemente ferita. Solo la pronta reazione del compagno di pattuglia dell’agente, un 36enne fresco di addestramento, ha evitato il peggio: impugnata la Walther d’ordinanza, il poliziotto ha sparato a raffica, colpendo più volte l’attentatore. Poi è intervento un terzo agente, sparando anche lui, e purtroppo una delle sue pallottole ha colpito la poliziotta al rene. Solo l’arrivo immediato di un elicottero del soccorso, che ha trasportato l’agente ferita al Bundeswehrkrankenhaus, l’ospedale delle forze armate ritenuto il migliore nel paese, le ha salvato la vita: dopo un’operazione urgente, è stata dichiarata fuori pericolo. Un’ambulanza è arrivata anche per Rafik, ma lui è morto prima di arrivare alla clinica più vicina.
Amaro risveglio per la Germania che apre le porte ai migranti e tenta una leadership decisa ma tutta soft power stile Merkel: finora la Bundesrepublik era stata risparmiata da attentati sanguinosi come quelli di Madrid e Londra, Parigi o Copenhagen. D’improvviso, la prima potenza del Vecchio continente si sente nel mirino del terrorismo islamista, si scopre vulnerabile come gli altri. Quella povera poliziotta quarantaquattrenne, ferita gravemente da Rafik al collo e alle spalle con la lama lunga ben 9 centimetri di un coltello a serramanico, e salvata in extremis solo dai medici militari, sembra il simbolo della vulnerabilità del paese.
«Il terrorista ucciso dagli agenti era un pregiudicato, un terrorista di Al Qaeda già condannato, lo conoscevamo da tempo», ha detto il procuratore generale Dirk Feuerberg. «Aveva una lunga carriera di leader nel partito armato fondamentalista dietro di sé», ha spiegato: viveva in Germania almeno dal 2004, quando fu l’organizzatore del fallito complotto terroristico per assassinare in quell’anno l’allora premier iracheno Ijad Allawi, in visita in Germania. Il tribunale di Stoccarda, capitale dello Stato del sudovest tedesco dove egli allora aveva residenza, lo aveva condannato nel 2008 a otto anni di carcere. Rafik era stato poi rilasciato per buona condotta due anni fa, e si era trasferito a Berlino. La polizia della capitale gli aveva imposto di presentarsi regolarmente al commissariato di quartiere, e soprattutto lo sorvegliava in ogni momento, avendogli imposto di indossare giorno e notte un bracciale elettronico alla caviglia. Ma proprio ieri mattina, era scomparso dagli schermi di controllo delle forze dell’ordine: era riuscito a sfilarsi il bracciale, segno evidente che voleva compiere uno spettacolare attentato.
«Già altre volte, da quando viveva a Berlino, cioè dal suo rilascio nel 2013», racconta il procuratore generale Feuerberg, znonostante fosse stato ammonito più volte a non frequentare ambienti estremisti e a condurre una vita normale, si era fatto notare per atti violenti: pochi mesi fa, era entrato in un’aula del tribunale centrale minacciando una magistrato. Da anni Rafik viveva nella capitale, prima nel quartiere turco di Neukoelln poi a Spandau. Spesso inosservato, ma ogni tanto cedeva ai suoi raptus di violenza, come nell’assalto al tribunale. Le autorità tedesche avevano deciso di non espellerlo in Iraq, in nome dei diritti umani: a Bagdad è in vigore la pena di morte, e Rafik non se la sarebbe risparmiata dopo il fallito attentato al premier.


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