Aylan seppellito a Kobane

Aylan seppellito a Kobane

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«Ora non ho più motivo di fug­gire», con que­ste parole Abdul­lah, il padre di Aylan Kurdi, il bimbo kurdo siriano di tre anni anne­gato tra Bodrum e Kos nella notte di mar­tedì, ha voluto ripor­tare a Kobane i suoi fami­liari. L’immagine del pic­colo corpo di Aylan, riverso sul bagna­sciuga di Bodrum, ha intac­cato per un momento l’indifferenza di vari lea­der euro­pei riguardo alle disa­strose con­se­guenze della guerra civile siriana. Abdul­lah, che ha perso anche la moglie Rihan e l’altro figlio Galip di cin­que anni nel nau­fra­gio, ha deciso di fare imme­dia­ta­mente rien­tro in Siria per sep­pel­lire i suoi familiari.

«Tenevo mia moglie per la mano. I miei bam­bini mi sono sci­vo­lati», ha rac­con­tato in lacrime il padre di Aylan prima di rinun­ciare al suo sogno di rag­giun­gere il Canada dove sua sorella Teema atten­deva la fami­glia di pro­fu­ghi a cui non era stato con­cesso lo sta­tus di rifu­giati. Da tre anni la fami­glia di Aylan era fug­gita dal Kur­di­stan siriano in Tur­chia. I vei­coli della poli­zia turca hanno scor­tato i corpi delle vit­time del nau­fra­gio fino al con­fine di Suruç. Anche ieri la guar­dia costiera turca ha fer­mato 57 pro­fu­ghi che ten­ta­vano di fare la stessa tra­ver­sata per rag­giun­gere l’Europa.

Aylan è stato sep­pel­lito insieme alla madre e al fra­tello nel cimi­tero di Kobane, tra i corpi delle decine di com­bat­tenti delle Unità di pro­te­zione maschili e fem­mi­nili (Ypg e Ypj) che abbiamo visto sep­pel­lire ogni giorno dopo i più duri com­bat­ti­menti con­tro lo Stato isla­mico. Par­lando con i gior­na­li­sti locali al con­fine tra Tur­chia e Siria dove vige uno stato di asse­dio per­ma­nente per gli aiuti uma­ni­tari che dovreb­bero rag­giun­gere la città distrutta di Kobane, Abdul­lah, accom­pa­gnato nel can­tone di Rojava da alcuni par­la­men­tari del par­tito della sini­stra filo-kurda Hdp, si è augu­rato che l’esempio di suo figlio scuota anche i lea­der arabi.

«Voglio che i governi dei paesi arabi guar­dino l’immagine di mio figlio e aiu­tino i pro­fu­ghi siriani, non i lea­der euro­pei», ha denun­ciato Abdul­lah. Ara­bia Sau­dita e Paesi del Golfo non con­ce­dono ai siriani lo sta­tus di rifu­giati. Lo stesso fa l’Egitto di al-Sisi che ha strap­pato i per­messi con­cessi dall’ex pre­si­dente Morsi, nono­stante gli squal­lidi pro­po­siti del magnate copto Naguib Sawi­ris che ieri ha espresso l’intenzione di acqui­stare un’isola greca o ita­liana per ospi­tare i pro­fu­ghi. Men­tre Tur­chia, Libano e Gior­da­nia sco­rag­giano i rifu­giati siriani non con­ce­dendo facil­mente ulte­riori per­messi o spin­gen­doli a fare rien­tro in patria.

Gio­vedì il pre­mier turco del governo ad inte­rim che por­terà il paese al voto anti­ci­pato del primo novem­bre, Ahmet Davu­to­glu aveva cri­ti­cato l’atteggiamento dell’Unione euro­pea rispetto alla gestione della crisi siriana. Il lea­der di Akp aveva aggiunto di rite­nersi «orgo­glioso di vivere in un paese che acco­glie due milioni di pro­fu­ghi siriani».

Eppure non accen­nano a fer­marsi gli attac­chi con­tro il par­tito dei lavo­ra­tori kurdi (Pkk) che vanno avanti dallo scorso 24 luglio. Altis­sima era la ten­sione ieri a Der­sim dove due coman­danti del par­tito di Oca­lan sono stati uccisi a colpi di mitra dalla poli­zia turca. Quat­tro sono i feriti tra gli abi­tanti della cit­ta­dina kurda, tra cui un medico impe­gnato nei soc­corsi, col­pito alla gola, e una donna con suo figlio di soli 15 anni. Nono­stante la dura cam­pa­gna con­tro la stampa indi­pen­dente da parte del pre­si­dente Erdo­gan in vista delle ele­zioni, una buona noti­zia è arri­vata invece sulla sorte dei gior­na­li­sti bri­tan­nici del blog Vice News, arre­stati a Diyar­ba­kir nei giorni scorsi con l’accusa di ter­ro­ri­smo. I due repor­ter sono stati rila­sciati, men­tre resta in pri­gione il loro inter­prete iracheno.



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