Da outsider a favorito. È il giorno di Corbyn
Si è conclusa giovedì alle dodici la votazione per le primarie del Labour Party, in una campagna che verrà ricordata tra le più drammatiche e sentite della storia recente del partito. Il risultato verrò reso noto sabato mattina.
In tre mesi di crescendo straordinario, Jeremy Corbyn — il veterano backbencher di North London della sinistra socialista, fatto entrare nella rosa dei candidati a giugno in fretta e dalla porta di servizio tanto per dare un contentino alla dialettica democratica interna -, da quarto incomodo è diventato il favorito alla leadership.
Ci si prepara a una sua vittoria al primo turno con più del 50% delle preferenze: preconizzata dai sondaggi, percepita nettamente nell’elettricità che ha attraversato tutte le sue apparizioni pubbliche, come nelle reazioni sguaiate della stampa moderata e in quelle preoccupate della stampa liberal, Guardian in testa. Fino a essere quasi inconsapevolmente ammessa dai suoi stessi avversari, quegli Andy Burnham, Yvette Cooper e Liz Kendall la cui unica colpa è stata il non sapere esprimere delle differenze sostanziali fra i reciproci programmi. Forse perché è lecito sospettare non ce ne siano. Corbyn, oggetto di tre mesi d’infaticabili attacchi — è stato accusato di antisemitismo, razzismo e di aver chiuso un occhio davanti a maltrattamenti ai minori nella propria circoscrizione di Islington — non si lascia prendere dal troppo facile entusiasmo: da reduce qual è, ricorda senz’altro la doccia fredda subita nel 1992 dall’allora leader Neil Kinnock, abbandonatosi a festeggiamenti che la successiva vittoria di John Major avrebbe condannato come a dir poco prematuri.
Quanto agli avversari, Burnham è apparso il più «a sinistra» dei tre, anche se si è profuso in lubrificanti rassicurazioni ai mercati e agli investitori, mentre Kendall ha sempre ostentato sul bavero il bollino blu della certificazione blairista che ne avrebbe decretato la sconfitta. Yvette Cooper — moglie del ritirato Ed Balls, ex ministro ombra delle finanze con Ed Miliband e impietosamente trombato da Westminster per non aver ricevuto abbastanza voti alle ultime politiche, cataclismiche per il Labour — si collocava in qualche modo in mezzo a costoro, ma il suo tardivo ricorso a una retorica egualitaria in pura funzione anti-Corbyn è apparso per l’utilitaristico mezzuccio che era. Né aiuta tanto l’insistere a martello, come fanno taluni, sulla loro «mancanza di carisma»: almeno a guardare al successo strepitoso ottenuto dall’a-carismatico Corbyn, unico nella storia del partito ad attrarre 50.000 adesioni in tre mesi. Possibile che in questa fase dissolutiva della socialdemocrazia europea le idee siano tornate a contare più del loro confezionamento?
In ogni caso, qualora nessuno ottenesse più del 50%, il candidato in coda sarebbe escluso e le seconde preferenze dei suoi sostenitori riassegnate agli altri, fin quando non vinca il candidato con più preferenze. Esclusione che pare colpirà Kendall, unica a rappresentare un trait d’union evidente con quel new laburismo targato Blair-Mandelson-Brown la cui parabola appare compiuta e dal quale già la sciagurata leadership del dimissionario Ed Miliband aveva cercato di prendere insufficienti distanze: l’umore plumbeo del suo discorso di fine campagna non sembrava lasciare molti dubbi in proposito.
Ciò non toglie che nelle riunioni dell’ala moderata del partito ora volino i «te l’avevo detto» con alcuni deputati che scagliano saette al povero Ed, reo di aver introdotto l’americanata delle primarie grazie alla quale un fiume di dissidenti (da sinistra) e di guastatori (da destra) avrebbe avuto accesso alle votazioni per la segreteria mediante pagamento di 3 sterline sul sito del partito, con l’intento di far vincere Corbyn. Secondo il nuovo sistema, che abolisce i vecchi collegi elettorali, i tre gruppi di deputati, sindacati e iscritti contano alla pari. Un «uno vale uno« che rende i 232 deputati laburisti — in maggioranza contro Corbyn — poco più di uno schizzo nel mare magnum incontrollabile dei 550.000 aventi diritto.
Nel frattempo Sadiq Khan — musulmano di origine pakistana, sette fratelli, infanzia in un council estate di Tooting, South London, che aveva avanzato la cadidatura di Corbyn alle primarie — sarà il candidato labour alla poltrona di sindaco di Londra nelle comunali del 2016, davanti alla gettonatissima Tessa Jowell.
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