Liberi dalle mine

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Uno sbuffo di fumo preceduto da un lampo assordante che, per una volta, non cela il corpo straziato di un uomo, una donna o magari un bambino. Un’esplosione secca, seguita per una volta da grida di gioia. Perché era l’ultima: il Mozambico è, da ieri, un Paese «libero dalle mine», come ha affermato Oldemiro Baloi, il ministro degli Esteri e della Cooperazione di Maputo, nel corso di una festosa cerimonia. «Ora siamo affrancati dalla paura».
Una paura che per decenni ha condizionato la vita del Paese dell’Africa australe, tormentato prima dalla guerriglia anti coloniale — 1964-1974, contro i portoghesi — e poi da una sanguinosa guerra civile (1981-1992), conflitti che hanno lasciato una pesantissima eredità: centinaia di migliaia di mine anti-uomo, anti-carro e ordigni difettosi. La «scatola esplosiva» che ha permesso di chiudere le operazioni di bonifica era una Gyata-64, di fabbricazione ungherese, fatta brillare dagli sminatori all’altezza del ponte Pungue, nella provincia di Sofala, nel centro del Paese.
Secondo Halo Trust, la «charity» britannica che ha finanziato questa gigantesca operazione (e dalla quale recentemente si è «licenziata» l’attrice Angelina Jolie, in polemica per gli stipendi «troppo alti» dei suoi dirigenti), dal 2008 a o oggi sono stati eliminati oltre 171 mila «taglia gambe», i dispositivi che hanno mutilato 8 mila esseri umani (una media di 600 l’anno; nel 2013: 13), provocando tra le 10 e le 15 mila vittime dalla fine del conflitto civile. «In molti pensavano che ci sarebbero voluti centinaia di anni per sminare l’intero Paese — ha detto al Guardian Albert Augusto, direttore dell’Istituto nazionale per lo sminamento del Mozambico —. Siamo riusciti a farlo in meno di trent’anni. L’elemento cruciale è stato l’impegno del governo su un piano chiaro, portato a termine distretto dopo distretto, e alla generosità dei donatori, che arrivano ovunque siano in grado di assicurarsi che i loro soldi sono spesi bene».
Ci sono voluti 285 milioni di dollari per liberare 1.118 campi minati. I quattro quinti di questo lavoro è rivendicato da Halo: «Abbiamo aiutato il Mozambico a riprendere una vita civile, a sfruttare le proprie risorse naturali, ad attrarre investimenti esteri», fa sapere la charity britannica. Soprattutto, eliminare la concreta possibilità di saltare per aria semplicemente spostandosi da un luogo all’altro ha consentito alle varie comunità di villaggio — se si escludono le grandi città di Maputo e Beira, la struttura portante del Paese — di ritrovare la serenità della vita agreste: «Arare un campo o portare al pascolo il bestiame non è più un’attività a rischio di perdere un arto se non la vita».
«Sono felice che nessuno farà più la mia fine», dice all’agenzia Reuters José Chiango, 29 anni, rimasto privo di una gamba, dal ginocchio in giù, dopo aver calpestato una mina nell’Est del Paese. «Sono felice — ha ribadito — che da questo momento in avanti nessuno dovrà più vivere nell’incubo delle mine». José cammina sorretto da grucce e ha trovato lavoro come parcheggiatore a Maputo: «Oggi — sorride — è un giorno meraviglioso».
Il Mozambico è stato per lungo tempo considerato il Paese al mondo più a rischio a causa delle mine. Le due fazioni rivali, Renamo e Frelimo (al governo), per anni hanno cercato di infliggersi il maggior numero di vittime possibile, anche a danno dei civili. Tutto questo ha portato a un conto spaventoso: un milione di morti, migliaia di feriti, un territorio devastato dove trovavano la morte non soltanto gli abitanti dei villaggi ma anche la fauna locale, oggi al centro di un vasto programma di popolamento nei parchi nazionali.
Aldina Mondlane, 48 anni, proprietaria di un banchetto in uno dei tanti mercatini di Maputo, sfoggia il sorriso di chi ha ritrovato la serenità. «Nessuno sarà più costretto a convivere con un nemico mortale quanto nascosto — racconta —. Siamo finalmente in grado di ritornare nei campi per coltivarli. Ricordo quando è finita la guerra civile. Nel mio villaggio sono in morti in tanti, e ancor più sono rimasti mutilati a causa delle mine che affioravano ovunque». Il lavoro di bonifica naturalmente è stato complesso. Oltre 1.600 operatori sono stati impiegati nei 22 anni di difficile ricerca e disattivazione degli ordigni.
Nel frattempo, il Mozambico, uno dei Paesi più poveri del mondo, ha potuto man mano ricostruire le infrastrutture e la sua economia (oggi viaggia a un ritmo che sfiora l’8 per cento). Un risultato che sarebbe stato impossibile senza la ferrea volontà dei volontari. E anche dell’aiuto di qualche nome famoso, impegnato nella campagna anti-mine. Come la principessa Diana (in Angola nel 1997) e suo figlio Harry, che nel 2010 ha scelto di dare una mano proprio al Mozambico.
Paolo Salom


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