Libia, il giallo del blitz “Il boss degli scafisti ucciso a Tripoli ”

Libia, il giallo del blitz “Il boss degli scafisti ucciso a Tripoli ”

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Un’esecuzione che lascia nella sabbia del deserto di Tripoli i cadaveri di uno dei Signori del traffico di esseri umani e otto degli uomini della sua scorta, trascina per ventiquattro ore l’Italia e la stampa internazionale nell’infernale gioco di specchi del Paese dai due governi — Tripoli e Tobruk — e le mille milizie in armi. E con un timing significativo: alla vigilia di un possibile accordo con le Nazioni Unite sul futuro della Libia e a poco più di una settimana dall’avvio delle operazioni navali dell’Ue sulle coste libiche contro le flotte degli scafisti (il 7 ottobre). Di più: certifica, ammesso ce ne fosse bisogno, quale impraticabile ginepraio sia oggi la Tripolitania. E quanto esile sia in quell’angolo di mondo fuori da ogni controllo il confine tra il vero, il verosimile e il falso. Perché, a sera, dopo una giornata che costringe Palazzo Chigi, Farnesina, Ministero della Difesa a inseguire e smentire lo stillicidio di notizie che attribuiscono la responsabilità della strage a un’operazione clandestina condotta da «forze speciali italiane», non appare più certa neppure l’identità di chi, per un giorno intero, era stato dato per morto. Tale Salah Al Maskout, ex ufficiale dell’esercito della Jhamairia di Muhammar Gheddafi, trafficante e capo della milizia di Zuwara, dove, dopo la dissoluzione del regime, ha costruito la sua fortuna con una flotta di decine di pescherecci che incrociano sulla rotta dei migranti per Lampedusa. «Morto» , riferiscono infatti nella mattinata di ieri, con la certezza dell’indicativo, i siti di informazione italiani e internazionali alimentati da chi la notizia l’ha accreditata — i siti dei quotidiani Libya Herald e Malta today — e da chi quella notizia conferma (la nostra Intelligence e la Nato). «Vivo e scioccato per quanto accaduto » , dice a sera lui (o comunque qualcuno che dice di chiamarsi come lui) interpellato telefonicamente dal sito di informazione Migrant Report .
Di certo, ci sono nove cadaveri per una strage senza mandanti, un movente che, ragionevolmente, non incrocia alcuna “black op” di forze speciali italiane o alleate (come del resto sostenuto da fonti Nato interpellate dal
Guardian ), ma soltanto l’inintelligibile scontro tra milizie e un caso internazionale che lievita per ore come un soufflè grazie all’effetto eco che provoca una notizia che ha un’unica fonte. Meglio: due uniche fonti.
In principio, la notte tra venerdì e sabato, è infatti un tweet del giornalista James Wheeler ad annunciare la morte di Al Maskhout. Centoquaranta caratteri per riferire che, nella zona di Furnaj, nei pressi del Medical Center di Tripoli, quattro uomini appartenenti alle «forze speciali italiane » hanno fermato a un posto di blocco il Signore del Traffico di esseri umani di Zuwara, eliminandolo insieme alla sua scorta. Wheeler cita anonime «fonti locali libiche». E aggiunge: «Gli italiani sapevano quando e dove andare ». Gli Italiani, in realtà, cadono dal pero. Alle 10 del mattino di ieri, quando la notizia non è ancora stata afferrata, lavorata e rilanciata dal Libya Herald e dal Malta Today ( e a catena da tutti i siti di informazione italiani), nessuno, né a Palazzo Chigi, né nelle stanze del Dis sa neppure che un signore di nome Al Maskhout sia stato ucciso. Le smentite di un qualsiasi coinvolgimento sono immediate, mostrano sorpresa e sembra debbano far finire la storia lì. Al contrario, diventano un caso quando, nel pomeriggio, i dettagli di quanto accaduto cominciano a farsi meno nebulosi. Si accredita che Al Maskhout sia stato eliminato la mattina di venerdì 25 settembre quando il convoglio su cui viaggiava (tre auto) viene affiancato da una Land Cruiser da cui viene vomitato un volume di fuoco tale da finire all’istante l’obiettivo designato e le sue otto bodyguards. I due quotidiani on-line, citando fonti anonime, aggiungono un ulteriore particolare. I proiettili estratti dai cadaveri sono identici al munizionamento normalmente in uso a reparti delle forze speciali alleate e americane. Che per altro — annotano — hanno già per certo condotto in Libia due diverse ope- razioni di commando in tempi recenti. Nell’ottobre del 2013 (quando la Delta force cattura il qaedista Abu Anas al-Libi) e nel giugno del 2014 (viene individuato e “prelevato” Ahmed Abu Khattala, accusato della strage del 2012 nell’ambasciata Usa a Bengasi).
Ce ne è abbastanza per sollevare molta polvere. Non fosse altro perché a cavalcare e dunque accreditare ulteriormente la notizia arrivano le parole del Presidente del Congresso libico (Gnc) di Tripoli, Nuri Abu Sahmain (di fatto, autorità politica di vertice del governo di Tripoli), che, con un comunicato distribuito alla stampa internazionale (e rilanciato dal Guardian), nel confermare la morte di Maskhout, accusa l’Italia della strage. La faccenda si fa dunque seria e costringe Palazzo Chigi, Intelligence, Farnesina, Ministero della Difesa e Nato a smentire qualsiasi coinvolgimento politico e militare in una storia che, nel frattempo, anziché chiarirsi, si complica.
James Wheeler, con un nuovo tweet, avvisa infatti che qualcuno, tra Tripoli e Zuwara, prova a spacciare per vivo chi invece è morto. «Esistono due Maskhout. Uno, Salah, è morto nell’agguato. Il cugino, Abdelbaset, trafficante di armi, è vivo ed è a Zuwara ». Poi, poco dopo le 20, il Salah Maskhout che tutti danno all’obitorio, resuscita al telefono con Migrant Report . «Deve esserci stato un errore di persona. Io vivo a Zuwara ma di mestiere faccio l’ingegnere», dice. Dunque, chi è il morto? E chi gli autori? Quando ormai è notte, l’ennesima fonte anonima della sicurezza libica citata da Migrant Report , la chiude così: «L’attacco c’è stato. L’uomo ucciso era coinvolto nel traffico di migranti. Ma sorvoliamo sugli autori».


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