Vola l’economia Usa Fed: presto rialzo tassi Euforia nelle Borse

by redazione | 26 Settembre 2015 9:10

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NEW YORK. Torna la fiducia nella locomotiva americana. Da una parte è grazie all’ultima revisione del Pil. Il dato aggiornato ieri indica che nel secondo trimestre la crescita americana ha sfiorato il 4% (per la precisione +3,9% da aprile a giugno), una ripresa più vigorosa di quanto si credesse. La sera prima l’ottimismo era stato confermato dalla presidente della Federal Reserve, Janet Yellen. Pur lasciando aperta la possibilità di «sorprese improvvise» che costringerebbero ad un cambio di strategia, la capa della banca centrale americana si è detta convinta che il rialzo dei tassi sarà deciso entro la fine di quest’anno. Dunque a ottobre o a dicembre, in una delle due prossime riunioni dei vertici della Fed. Con questa uscita la Yellen ha dissipato l’incertezza che si era creata giovedì 17 settembre, quando la Fed decise di soprassedere all’aumento dei tassi. Dopo queste ultime parole tutte le Borse hanno reagito con rialzi.
E’ un po’ il mondo alla rovescia. In linea di principio, l’annuncio che i tassi d’interesse verranno aumentati, non dovrebbe essere una buona notizia per i mercati finanziari. I tassi della Fed influenzano indirettamente un po’ tutta la struttura degli altri tassi di mercato: dalle condizioni dei fidi bancari agli interessi sui mutui per la casa, dai rendimenti dei buoni del Tesoro agli interessi sulle carte di credito. Quindi un rialzo dei tassi della Fed rende più caro il credito alle imprese e alle famiglie, il che rappresenta un freno alla crescita. Inoltre un rialzo dei rendimenti fa sì che i titoli a reddito fisso (buoni del Tesoro e obbligazioni) diventino più attraenti, il che può spostare investimenti dalla Borsa verso il mercato obbligazionario. Dunque è singolare, almeno in apparenza, che la Borsa festeggi una “cattiva notizia” come l’annuncio di ieri.
Ma i mercati hanno privilegiato l’analisi di fondo che giustifica le parole della Yellen. La presidente della Fed si è detta convinta che l’attuale clima deflazionistico sia dovuto a eventi una tantum, come il crollo del petrolio e la rivalutazione del dollaro. Il quadro generale, almeno negli Stati Uniti, rimane positivo: il mercato del lavoro si sta avvicinando alla piena occupazione. Quindi è ora di smantellare l’ultimo dispositivo dell’emergenza monetaria che ha caratterizzato i 6 anni precedenti. Prima ci fu il quantitative easing con la creazione massiccia di liquidità attraverso l’acquisto di bond: esperimento audace ed efficace, che è stato interrotto un anno fa. E’ continuato invece il tasso zero, che dura dal dicembre 2008. Anche quello ormai stenta a giustificarsi, poiché l’economia americana secondo la Fed sta ritrovando condizioni di normalità. Continuare a praticare una politica monetaria d’emergenza contribuirebbe ad alimentare bolle speculative, come ha lasciato intendere la Yellen: «Mantenere a zero gli interessi di breve termine, anche quando l’attività dell’economia reale è tornata a livelli normali… incoraggerebbe un indebitamento eccessivo ed altre forme di investimenti rischiosi che minaccerebbero la stabilità finanziaria». Ora che anche l’Europa si stabilizza: per Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann: «Il quadro continua ad essere positivo, nonostante i rischi globali e le incertezze, e nel 2017 l’inflazione tornerà al 2%». Resta da vedere quali effetti avrà il rialzo sull’anello debole della finanza mondiale, che in questo momento è rappresentato dai paesi emergenti. Brasile ed altri hanno già subito fughe di capitali, svalutazioni, declassamenti. Quando saliranno i rendimenti del dollaro ci sarà un motivo in più per abbandonarli.
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