Dimissioni ritirate Marino sfida il Pd “Non accetterò mai la porta di servizio”

by redazione | 30 Ottobre 2015 8:29

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ROMA . «Io non voglio uscire dalla porta di servizio, caro Orfini. Se devo farlo, voglio uscire dalla porta principale: l’aula di Giulio Cesare ». Cosa avesse in testa, Ignazio Marino l’aveva detto chiaramente, mercoledì notte, al commissario del Pd romano che gli aveva dato lo sfratto dal Campidoglio. Poi, ieri pomeriggio, mentre al Nazareno si faceva l’appello dei consiglieri comunali del Pd pronti a rinunciare al seggio, il sindaco- marziano ha fatto il passo che ormai tutti aspettavano: dimissioni ritirate, da oggi – ma forse solo per oggi – lui ha di nuovo i pieni poteri.
In realtà, questa mossa Marino aveva in mente di farla solo stasera. Era convinto di avere ancora 24 ore di tempo, dopo la lunga discussione con la delegazione del Pd a casa del vicesindaco Causi. «Io capisco la tua posizione – gli aveva detto Matteo Orfini con tutta la pacatezza di cui era capace – ma sappi che domani io riunisco il gruppo, e che se tu fai marcia indietro, un minuto dopo 25 consiglieri presentano le dimissioni e il Consiglio viene sciolto». Marino non si era spostato di un millimetro: «Io chiedo un chiarimento in aula. Non è solo un mio diritto: lo dobbiamo, voi ed io, ai cittadini romani che mi hanno eletto sindaco».
Ognuno dei due conosceva dunque le prossime mosse dell’altro, ma la lunga chiacchierata sull’importanza delle delibere in calendario ieri sera – alcune delle quali, come il buono casa, premevano soprattutto agli assessori del Pd – aveva lasciato al sindaco la convinzione che durante la giornata non ci sarebbe stato nessun colpo di scena. La svolta è arrivata nel primo pomeriggio. Marino aveva appena finito il suo pranzo (il solito piatto di frutta mangiato in fretta nel suo ufficio) quando ha letto le notizie che arrivavano dal Nazareno, con i numeri e i nomi dei consiglieri pronti a dimettersi. E si è convinto che il Pd volesse giocare d’anticipo, facendo decadere il Consiglio prima ancora che lui potesse chiederne la convocazione. Così ha deciso di fare la sua mossa. Ha chiamato al telefono la presidente del Consiglio comunale – riunita anche lei, con gli altri, con Orfini – e glielo ha annunciato. «Ritiro le dimissioni. Ho voluto che tu fossi la prima a saperlo, come era giusto. Stasera ti consegnerò la lettera, con la richiesta di fare all’aula le mie comunicazioni urgenti».
Una lettera, quella del sindaco, che rivendica i successi ottenuti ma fa anche un severo mea culpa. «Mentre sono certo – scrive Marino – che il nostro operato abbia con fatica raggiunto l’obiettivo di ripristinare legalità e trasparenza dell’agire amministrativo, mi è chiaro che questo sforzo non è stato da solo sufficiente a garantire i necessari risultati di buon governo della città». E ancora: «Non ho difficoltà ad ammettere alcuni errori», perché «ho dato l’impressione di non voler dialogare e di non voler condividere queste scelte con la città». Non era questo, scrive il sindaco, «il segno che volevo dare», ringraziando il Pd per aver dato «prova di coraggio e determinazione con voti che resteranno storici per la nostra Capitale». Per queste ragioni, conclude, «ritengo non sia giusto eludere il dibattito pubblico, con un confronto chiaro per spiegare alla città cosa sta accadendo e come vorremo andare avanti».
Fino a ieri pomeriggio il sindaco aveva continuato a ripetere in pubblico che lui stava ancora riflettendo sul ritiro delle dimissioni. La mattinata l’ha passata chiamando uno per uno i suoi assessori per confermare che la giunta si sarebbe riunita, la sera, in qualunque caso, e per concordare con ciascuno di loro le delibere da mettere ai voti. Le porte del suo ufficio si sono aperte solo per il suo staff e poi per la più fedele dei suoi assessori, Alessandra Cattoi, l’unica di cui si fida ciecamente. È con lei che ha valutato, all’ora di pranzo, tutti i pro e i contro di ciascuna mossa. Poi, mentre stavano ancora studiando la road map per fermare il conto alla rovescia, sono cominciate ad arrivare le notizie d’agenzia sulla riunione al Nazareno, convocata da Orfini per le 14. La conta dei dimissionari era iniziata.
Due ore dopo, Marino ha preso la sua decisione, la stessa che aveva anticipato martedì a Repubblica : la cosa più giusta, anzi inevitabile a quel punto, era ritirare le dimissioni e chiedere un dibattito in Consiglio.
«Se c’è un luogo sacro per la democrazia, in questa città – ha spiegato il sindaco scendendo le scale del Palazzo Senatorio – quel luogo è l’aula di Giulio Cesare. È lì che voglio avere una discussione aperta, franca e trasparente con la mia maggioranza. Se la mia maggioranza lo vorrà, naturalmente ». Ma intanto, attorno al Marziano, il Pd sta bruciando tutti i ponti. Tre assessori si sono dimessi, altri quattro stanno facendo le valigie. E se davvero oggi Orfini riuscirà a far arrivare in Campidoglio 25 lettere di dimissioni, le porte dell’aula di Giulio Cesare resteranno chiuse. Fino alle prossime elezioni.
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