Finita l’era Marino, il sindaco lascia e attacca il Pd. Renzi: nessuna congiura

Finita l’era Marino, il sindaco lascia e attacca il Pd. Renzi: nessuna congiura

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ROMA . Alle 17,57 di venerdì 30 ottobre Ignazio Marino non è più sindaco di Roma. In fondo a 28 mesi, 18 giorni e una manciata di ore vissute sempre sull’orlo di una crisi politica e di nervi deflagrata sull’onda dello Scontrino-gate, 26 consiglieri comunali hanno posto fine all’era del marziano in Campidoglio.
Ventisei piccoli Bruto che «si sono sottomessi e dimessi», lo hanno accoltellato a tradimento su mandato di Renzi, dirà poi il chirurgo dem paragonandosi a Giulio Cesare: 21 della sua stessa maggioranza e altri cinque pescati tra le fila delle opposizioni grazie al “soccorso bianco” di Alfio Marchini, ma ben selezionati in base a una presunta purezza fondata sulla distanza dal ”fascista” Alemanno e dalla giunta che ha governato prima. E pazienza se poi i due fittiani, decisivi per la conta finale, nel 2013 siano stati eletti con la lista civica del sindaco precedente: ora stanno nella nuova formazione dei Conservatori e Riformisti e tanto basta a tacitare i mal di pancia democratici.
Si conclude dunque in un assolato venerdì pomeriggio, al termine di tre giorni di passione, l’era del medico che voleva curare la capitale d’Italia ed è rimasto travolto dai suoi mali. La coda di un’ennesima mattinata ad alta tensione, trascorsa tra la sede dei gruppi politici, dove i consiglieri già d’accordo sulle dimissioni in blocco si erano dati appuntamento per firmare, e palazzo Senatorio, dove il rito s’è poi consumato. Cinque ore sulle montagne russe per trovare un’intesa che salvaguardasse la contestualità della procedura richiesta dalla legge e però distinguesse tra esponenti di centrosinistra, di centro e di centrodestra. Così da evitare un mischione indigeribile in vista dell’imminente campagna elettorale.
Così il notaio, portato all’ora di pranzo da Marco Causi — comandante in capo delle operazioni per conto del Nazareno — si limita a raccogliere le adesioni e i documenti dei firmatari. Torna a studio per predisporre l’atto. Alle quattro è tutto pronto, ma non si può proseguire. Alfio Marchini, che non vuole perdersi la scena, è ancora a Milano, ostaggio di un volo Alitalia che tarda a decollare. Appena sbarca a Fiumicino arriva l’ok. Semaforo verde. Ora si può salire in Campidoglio.
La delegazione si chiude nell’anticamera del vicesindaco, si procede all’appello, agli autografi e ai timbri: il marinicidio è compiuto. Primo firmatario: il capogruppo Pd Fabrizio Panecaldo; ultimo Marchini, il procacciatore di oppositori utili alla causa. La presidente dell’assemblea Valeria Baglio si scioglie in lacrime, anche Lady Franceschini, Michela Di Biase, si commuove. La civica Svetlana Celli, eletta con la lista che porta il nome di Marino, è inconsolabile: «Mi sento in colpa» singhiozza.
È finita, ma non per il sindaco deposto. Va nella sala della Protomoteca e consuma la sua ultima vendetta. Contro gli esecutori materiali del suo omicidio politico, che hanno compiuto un atto anti-democratico negandogli di parlare in aula, e il loro «mandante» tutt’altro che occulto. Il quale però guarda già avanti.
«Marino non è vittima di una congiura di palazzo, ma un sindaco che ha perso contatto con la sua città, con la sua gente», taglia corto Renzi in un’intervista a Bruno Vespa che sarà pubblicata nel suo prossimo libro. Poi sibila: «Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo, anche se sindaco», insiste il premier. «Per questo faremo di tutto per fare del Giubileo con Roma ciò che è stato l’Expo per Milano. Questa pagina si è chiusa, ora basta polemiche, tutti al lavoro».
Le parole che il Vaticano attendeva da tempo, sempre più in ansia per gli sviluppi di una crisi — delle dimissioni resentate e poi ritirate — che «sta assumendo i toni di una farsa», tuona nel pomeriggio l’Osservatore romano . «Al di là di ogni altra valutazione — scrive il quotidiano della Santa Sede — resta il danno, anche di immagine, arrecato a una città abituata nella sua storia a vederne di tutti i colori, ma raramente esposta a simili vicende». Perché «Roma ha bisogno di un’amministrazione, della guida che merita, specialmente in vista del Giubileo che è alle porte», rincarerà più tardi il presidente della Cei Angelo Bagnasco. L’ultima bocciatura di Marino, il sindaco che si vantava amico del Papa.


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