IS, MOSTRO CHE GLI STATI (NON)TEMONO

IS, MOSTRO CHE GLI STATI (NON)TEMONO

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LO STATO Islamico è un mostro provvidenziale. Una entità pirata da cui nessuno, salvo al-Assad, si sente vitalmente minacciato, contro la quale si possono dichiarare grandi coalizioni salvo poi tollerarne o financo eccitarne le scorrerie quando colpiscono interessi rivali. È il gioco inaugurato dalle monarchie del Golfo, dalla Turchia e dagli occidentali in chiave anti- iraniana. Al quale partecipano sportivamente altre potenze interne ed esterne al Medio Oriente. È in nome della lotta al “califfato”, inscritta nella illimitata “guerra al terrorismo”, che i russi giustificano le loro basi avanzate nelle roccaforti di al-Assad. Ed è sotto la stessa parola d’ordine che gli Stati Uniti, seguiti dagli alleati europei e da alcuni protagonisti regionali — non esclusa la Turchia, che peraltro considera il Pkk bersaglio molto più attraente delle bande di al-Baghdadi — stanno rifocalizzando il proprio approccio ai conflitti nell’area, acconsentendo di fatto a trattare Damasco quale utile cobelligerante piuttosto che come nemico da annientare.
Come un camaleonte, lo Stato Islamico muta pelle nelle nostre percezioni, pur restando uguale a se stesso. La provvidenzialità dei tagliagole ammantati d’aura rigidamente coranica consiste nella loro triplice natura: gruppo terroristico transnazionale autoalimentato da traffici d’ogni genere; setta religiosa al servizio di un’ideologia apocalittica assai attraente nell’atmosfera da fine del mondo che avvolge la valanga di crisi del dopo-“primavere arabe”; proto-Stato in fieri. Il molto eterogeneo fronte degli autoproclamati avversari del terrorismo internazionale, che corre dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Russia all’Iran, da Israele alla Turchia e include gli europei, scopre che forse lo Stato Islamico sta vincendo la guerra. Ovvero, sta tenendo fede al suo marchio statuale. L’Is non è solo la nuova sigla di successo del terrorismo jihadista. È soprattutto un abbozzo di Stato che si sta formando nel suo territorio di elezione — lo spazio tribale sunnita a cavallo della linea Sykes-Picot, fra Iraq occidentale e Siria orientale. Sradicarlo da quei deserti non pare possibile, almeno nel breve periodo, salvo rischiare operazioni di terra a guida americana — anatema per Obama. Soprattutto, non esistono alternative accettabili dalle popolazioni locali. Qualora l’opzione fosse finire di nuovo sotto Damasco o sotto Bagdad, molti abitanti dei territori oggi gestiti dallo Stato Islamico con un misto di brutalità e di “legge e ordine” islamista preferirebbero il “califfo”. Se il nemico non riesci a sconfiggerlo, devi conviverci alle migliori condizioni possibili.
A Washington come a Mosca, a Teheran e ad Ankara come a Londra e a Parigi, si sta perciò affermando la linea del contenimento. Lo Stato Islamico come malattia cronica contro la quale sperimentare una terapia destinata a impedirne la proliferazione. Utile bersaglio attorno al quale fare e disfare coalizioni tattiche, nella consapevolezza che non si può, né forse si vuole batterlo.


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