Is, primi raid della Russia “Li ha chiesti Damasco”. Usa e Francia accusano “Colpiti ribelli anti-Assad”

by redazione | 1 Ottobre 2015 9:03

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Putin annuncia l’offensiva intorno alle città siriane di Homs e Hama con i caccia partiti da Latakia: “Dobbiamo fermare i terroristi prima che arrivino da noi”. Sul web video dell’opposizione con le vittime civili ma Mosca replica: “Unico obiettivo sono i jihadisti. Ora una coalizione aperta a tutti”. Lavrov prepara una risoluzione all’Onu
MOSCA. La seconda guerra di Putin è cominciata ieri, alle 14 italiane, sui cieli della Siria. Per la prima volta dopo l’attacco alla Georgia del 2008, cacciabombardieri dell’aviazione di Mosca, partiti dalla base appena formata nei pressi di Latakia, sono entrati in azione fuori dai loro confini colpendo una vasta zona di terreno tra le città di Homs e di Hama, a nord di Damasco. Al termine di una mattinata vissuta nell’ansia di dare all’operazione un marchio di legalità accogliendo l’ennesimo appello del regime siriano, il bilancio finale del primo raid viene definito dal ministero della Difesa un successo. Sono stati distrutti, si dice, «otto tra depositi di munizioni degli uomini del Califfato, postazioni di artiglieria, serbatoi di carburante e centri di comando dei guerriglieri dell’Isis sulle montagne». «Continueremo, dobbiamo fermare il terrorismo prima che arrivi fino a noi», ha detto Putin dalla sua dacia di Novo Ogarjiovo da dove con alcuni ministri aveva seguito le fasi del blitz. Confermando poi indirettamente l’invito agli Usa a partecipare a una coalizione anti Is «aperta a tutti».
I dubbi sulla buona fede russa, messi in rete dagli oppositori al regime di Assad, e rilanciati dalla diplomazia francese e americana, sono stati subito stroncati da una furente Maria Zakharova, bionda portavoce degli Esteri: «Abbiamo colpito solo i terroristi e non i ribelli avversi al governo ». Il dubbio resta. Anche molti esperti russi, come Vladimir Frolov, assicurano che «in quella zona ci sono solo guerriglieri di Jalish al Fatah, integralisti che non fanno parte dell’Is. Mosca vuol fare prima una barriera sicura attorno a Damasco ed evitare uno scenario libico con la dissoluzione del regime».
Nè ha scalfito l’aria di soddisfazione generale la notizia, diffusa da molte agenzie di stampa, di cinque donne e sei bambini uccisi dalle bombe russe come testimonierebbero alcuni filmati mostrati sul web. Sempre la Zakharova: «Filmati messi in rete prima ancora che i nostri aerei si alzassero in volo. I media occidentali inventano di tutto contro di noi».
L’ansia di apparire impeccabili dal punto di vista del diritto internazionale è evidente nelle dichiarazioni ufficiali mentre continua lo scambio di polemiche pubbliche e di trattative nascoste con gli Usa alla ricerca di un compromesso per combattere insieme il “nemico comune”. «Siamol’unico Paese tra quelli che stanno agendo in Siria – ha detto il portavoce di Putin, Peskov, riferendosi ai raid francesi dei giorni scorsi – che agisce secondo le regole. Su richiesta del legittimo governo di Damasco».
Il piano ”legale” è stato attuato nella notte tra martedì e mercoledì quando tutti i senatori russi hanno ricevuto l’ordine di presentarsi puntualissimi in aula. Alle nove del mattino erano già tutti presenti per ascoltare il consigliere di Putin, Ivanov leggere l’ultimo dei tanti appelli arrivati a Mosca da Assad. Più veloci di quanto sarebbero poi stati i loro piloti, i 162 senatori hanno approvato all’unanimità in un’ora e 10 minuti l’autorizzazione al Presidente ad usare le Forze Armate fuori dai confini. Ivanov e poi lo stesso Putin hanno precisato che «questo vale solo per la Siria e solo per le forze aeree, non ci saranno soldati russi in combattimenti terrestri». Ma in teoria il voto del Senato offre tutte le scelte possibili.
I caccia russi presenti a Latakia sarebbero 28, divisi tra Sukhoj di varie generazioni, compresi i cosiddetti “multiruolo”. Ad arricchire la potenza di fuoco ci pensa una ventina di elicotteri da combattimento MI-24 e MI-17 e un numero imprecisato di aerei cargo che continuano a portare armi e munizioni nei quattro centri presidiati dai russi: Damasco, Latakia, Hama e il porto di Tartus.
Schieramento imponente che conta adesso di far fare il “lavoro sporco” del combattimento a terra ai curdi e agli uomini di Hezbollah, grazie all’interven- to dei freschi alleati di coalizione, Iraq e Iran. Ma il progetto finale resta un coinvolgimento totale sotto la bandiera dell’Onu che toglierebbe la Russia dalla scomoda posizione di “stato canaglia” acquisita dopo i fatti di Crimea e dell’Ucraina dell’Est. Per questo il ministro degli Esteri Lavrov ha preannunciato una bozza di risoluzione che autorizzi un’operazione mondiale di polizia antiterrorismo. Il nodo resta come sempre Assad che gli Usa vorrebbero destituire a tutti i costi e che Putin vede invece come unica garanzia di mantenere un ruolo di primo piano. Proprio oggi anche la Francia ha deciso di accusare Assad di violazione dei diritti umani ma Putin insiste con un messaggio nemmeno troppo velato: «Spero che Assad capisca che saranno necessarie riforme di tipo democratico e che ci assicuri un periodo di transizione». La ricerca di compromesso con l’Occidente continua.
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