La Turchia in piazza contro Erdogan Il governo accusa l’Is e bombarda i curdi

La Turchia in piazza contro Erdogan Il governo accusa l’Is e bombarda i curdi

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Ankara. Gas lacrimogeni contro i manifestanti. Le madri dei ragazzi uccisi da due kamikaze respinte mentre vengono a deporre fiori sulle mattonelle sporche di sangue. Le lacrime alla morgue. “Le vittime sono 128”. Raid sui guerriglieri in Kurdistan
ANKARA . Bandiera a mezz’asta. Tre giorni di lutto. Telegiornali e quotidiani concentrati unicamente sulla «bomba che ha colpito i nostri cuori», come si legge su Hurriyet . «Che siano maledetti », urla un altro quotidiano,
Sozcu . Ma le madri dei ragazzi morti alla stazione di Ankara, venute qui a baciare le mattonelle dove hanno ammazzato i loro figli, non hanno la forza di inveire a lungo. Piangono. E non riescono nemmeno a poggiare quattro garofani rossi sul selciato dove sabato mattina più di cento pacifisti, in maggioranza simpatizzanti della causa curda, sono saltati in aria per un impasto di tritolo misto a biglie piazzato nella cintura di due kamikaze. La polizia allontana tutti. «Le indagini sono in corso», gridano. Agenti in tuta bianca e con i copriscarpe sintetici continuano a raccogliere reperti.
Da un palco, il leader del partito curdo, Selahattin Demirtas, giacca nera e camicia grigia, scende per strada. Ha nuovamente invitato tutti alla calma, accusando però il governo di inefficienza. «Oggi siamo in lutto – ricorda – tuttavia la nostra presenza è testimonianza dell’umanità che non si arrende di fronte a una minaccia occulta». Solo dopo una lunga trattativa viene ammesso a mettere a terra la bandiera del suo partito là dove 24 ore prima ne sventolavano centinaia. C’è ancora sangue.
Oggi la Turchia piange i suoi morti. Ma quanti sono esattamente? Il governo è fermo a 95, la cifra dell’altro ieri. Il partito curdo ne lamenta invece 128. Ai quali tocca aggiungere altri 49 uccisi ieri, tutti guerriglieri, sulle montagne del Kurdistan turco, abbattuti dai cacciadell’aviazione. Il Pkk ha proclamato inutilmente il cessate il fuoco. Entrambi i lati del confine, quello turco e quello iracheno, nascondono le basi dei ribelli. E la guerra così riprende anche sul fronte militare.
I curdi appaiono sotto tiro ovunque: nelle piazze, come l’altro ieri ad Ankara, o a giugno nella strage di Diyarbakir, o a luglio nel massacro dei 33 ragazzi morti a Suruc, al confine con la Siria. E, da quello stesso mese, cioè da quando il Presidente Tayyip Erdogan ha accettato di schierarsi con la coalizione internazionale per attaccare il Califfato in Siria, non passa giorno che i raid turchi non sgancino qualche bomba sui villaggi del sud est dell’Anatolia o del Nord Iraq.
Poca chiarezza, finora, anche sugli attentatori della stazione. A farsi saltare in aria sarebbero stati due kamikaze, entrambi uomini. Lo dice alla sera il capo dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, dopo aver incontrato il premier Ahmet Davutoglu. «Mi hanno dato informazioni sull’attentato: capirete che non posso dare dettagli», spiega ai giornalisti subito dopo l’incontro. «Tuttavia, non hanno fatto i nomi di nessuna organizzazione».
Uno dei due sarebbe stato identificato. Si tratta di un uomo di 20-25 anni. Sarebbero riusciti a recuperare frammenti di impronte digitali dai resti dell’ordigno. Il giornale Haber- turk sospetta che possa essere il fratello maggiore dell’attentatore di Suruc. In mattinata, invece, si era fatta insistente la voce di una donna kamikaze. Nebbia totale, però, su chi li abbia mandati a compiere la strage. Fonti della sicurezza turca sono tutte su una sola pista: «Questo attentato è nello stile di Suruc, e tutte le tracce dicono che è stato una copia dell’altro… Questo porta al Califfato Islamico». E una seconda fonte conferma: «Tutti i segnali ci indicano che l’attentato possa essere stato realizzato dai jihadisti: siamo completamente focalizzati su di loro».
Verso lo slargo della stazione si dirigono migliaia di persone: altre centinaia si affollano per l’intera giornata davanti alla camera mortuaria cittadina, in attesa di notizie. Nel centro città, la gente deve però accontentarsi di incontrarsi sulla piazza Sihhiye, poco lontano dal luogo dell’esplosione. C’è un momento in cui la polizia carica, sfoderando i gas lacrimogeni per disperdere quelli che vogliono raggiungere il punto esatto dove sabato i due kamikaze si sono fatti saltare in aria. Gli animi si accendono. Partono degli slogan. I manifestanti hanno come obiettivo Erdogan: «Assassino », «ladro», «dimettiti». Sono le stesse parole che si sono sentite alle manifestazioni di protesta a Istanbul e a Diyarbakir: migliaia le persone in piazza.
Dice un impiegato che lavora in un ufficio non lontano dalla stazione di Ankara: «Io non voglio che Erdogan finisca come Gheddafi. Mi basta che perda alle elezioni del 1 novembre, che la Turchia abbia una governo rappresentato da più partiti e non più solo dal suo, e che lui se ne vada all’estero e non si faccia vedere mai più. Lui e la sua famiglia. Il figlio Bilal, che è venuto da voi in Italia, a Bologna, ha già cominciato fare i bagagli ».
I poliziotti hanno finito la carica. Il lancio dei gas, ora, fa scappare tutti. Non c’è silenzio, non c’è lutto, anche se le bandiere restano giù. Questo è un altro giorno di ordinario dolore, nella Turchia di Recep Tayyip Erdogan. La risposta, se ci sarà, potrà venire solo dalle urne, fra poco più di quindici giorni.


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