Ttip, «il grande business detta l’agenda»

by redazione | 8 Ottobre 2015 9:45

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Intervista. Sabato scatta la settimana internazionale di mobilitazione contro il Trattato transatlantico sul libero scambio che sta spaccando l’Europa. Parla Lora Verheecke, esperta del Ceo: «Se il Ttip venisse legato alla quotidianità, le persone capirebbero di cosa si tratta. A Bruxelles lanceremo proposte per superarlo e per costruire un’Europa solidale»

L’incognita delle ele­zioni pre­si­den­ziali sta­tu­ni­tensi del 2016, la frat­tura nel Gruppo dei socia­li­sti nel Par­la­mento euro­peo, il peso dell’elettorato tede­sco in Europa: cosa deter­mi­nerà il suc­cesso o il fal­li­mento dei nego­ziati sul Ttip ? Il «Trat­tato tran­sa­tlan­tico» sta spac­cando in due il Vec­chio Con­ti­nente tra est e ovest e il 10 otto­bre, da Ber­lino, scatta la set­ti­mana inter­na­zio­nale di mobi­li­ta­zione con­tro l’accordo.

25 anni fa 5 gior­na­li­sti, Belén Bala­nyá, Oli­viér Hoe­de­man, Erik Wes­se­lius, Adam Ma’anit, Ann Doherty pub­bli­cano Europe.Inc, un libro in cui denun­ciano i rap­porti tra le grandi cor­po­ra­tion e le poli­ti­che dell’allora nascente Unione euro­pea. Una man­ciata di fon­da­zioni pri­vate, tra Olanda e Stati uniti, deci­dono di soste­nere il lavoro dei gior­na­li­sti. È così che nasce il Cor­po­rate Europe Obser­va­tory (Ceo), ini­zial­mente un net­work lasco di gior­na­li­sti che indaga il potere del grande busi­ness negli ingra­naggi isti­tu­zio­nali euro­pei. Pre­sto però, la rete si tra­sforma in un vero e pro­prio osser­va­to­rio sul lob­by­ing a Bruxelles.

Lora
Lora Verheecke

Oggi il Ceo conta una decina di impie­gati tra gior­na­li­sti e ricer­ca­tori. Tra que­sti, Lora Verheecke, 31 anni, franco-olandese ex-vice Pre­si­dente di Oxfam Fran­cia. Verheecke ha lasciato il suo posto alla Con­fe­de­ra­zione sin­da­cale inter­na­zio­nale (Csi) per occu­parsi del Trat­tato tran­sa­tlan­tico sul com­mer­cio e gli inve­sti­menti (Ttip) al Ceo.

«I sin­da­cati non erano abba­stanza cri­tici rispetto al Ttip», è una delle prime cose che mi dice quando la incon­tro. Siamo seduti in un bistrot vicino al canale Bruxelles-Charleroi che costeg­gia il cen­tro della capi­tale belga a nord ovest, esat­ta­mente dalla parte oppo­sta di dove si tro­vano Par­la­mento e Com­mis­sione europea.

Lora Verheecke, quali sono stati i con­te­nuti dell’ultimo turno di nego­zia­zioni del Ttip svol­tosi a luglio 2015?
Stati uniti ed Europa cer­cano un com­pro­messo sulla pro­te­zione delle «indi­ca­zione geo­gra­fi­che»: non vogliono che la con­tro­parte pro­duca alcuni pro­dotti tipici. Poi si è discusso della regu­la­tory cope­ra­tion: ognuno vuole moni­to­rare la pro­du­zione legi­sla­tiva dell’altro. Infine, non è man­cato l’Isds (Investor-State Dispute Set­tle­ment), il mec­ca­ni­smo giu­ri­dico per la riso­lu­zione dei con­ten­ziosi stato-imprese.

A che punto siamo giunti nelle nego­zia­zioni sul Ttip?
Siamo a metà per­corso, le nego­zia­zioni vanno a rilento. Non se ne farà nulla prima del 2017. E in mezzo ci sono le ele­zioni americane…

Che ruolo hanno?
Potremmo ritrov«arci con un pre­si­dente che non appog­gia il Ttip: alcuni repub­bli­cani sono con­tro gli accordi di libero scambio.

Chi esat­ta­mente?
Il Tea Party.

Il Tea Party non schie­rerà mai il Pre­si­dente degli Usa…
Però potrebbe avere più influenza. La poli­tica interna diven­te­rebbe una prio­rità. Per gli Usa è più impor­tante l’accordo com­mer­ciale appena siglato con l’area del Paci­fico (Trans-Pacific Part­ner­ship, detto anche Ttp).

E se vin­cesse Donald Trump?
Trump non si è espo­sto sul Ttip.

Il 2017 è anno di ele­zioni in Fran­cia e Ger­ma­nia e il Ttip verrà rati­fi­cato dai par­la­menti nazio­nali…
Non è detto. Gli “inve­sti­menti” sono una pre­ro­ga­tiva comu­ni­ta­ria e, seb­bene il Ttip vada oltre que­sta area di policy, qual­cuno potrebbe far­celo rien­trare: con­te­rebbe solo il voto del Par­la­mento europeo.

Come sono schie­rati i gruppi poli­tici a Bru­xel­les?
I socia­li­sti sono divisi: durante il voto sulla riso­lu­zione Ttip di luglio 2015, i belgi, i fran­cesi e gli inglesi hanno votato con­tro, così come il Gue-Ngl, i verdi e la destra radi­cale. È soprat­tutto il Paese di ori­gine dei depu­tati che spiega il voto: i par­titi dell’est sono a favore. Ma alla fine è pro­ba­bile che il testo pas­serà anche per le camere nazionali.

Cosa suc­ce­de­rebbe se un Paese votasse con­tro?
Il Ttip non passerebbe.

Secondo dati Euro­ba­ro­me­tro solo il 39% dei tede­schi è a favore del Ttip, per­ché?
La Ger­ma­nia è incap­pata nell’arbitrato dell’Icsid (Cen­tro inter­na­zio­nale per il rego­la­mento di con­tro­ver­sie rela­tive ad inve­sti­menti), il tri­bu­nale che si costi­tui­sce ad hoc ogni volta che c’è un con­ten­zioso tra inve­sti­tore e stato nazio­nale, un pro­to­tipo dell’Isds. Lo stato tede­sco è stato chia­mato in causa dalla Vat­ten­fall AB per­ché, dopo il disa­stro di Fuku­shima del 2011, Angela Mer­kel aveva deciso di chiu­dere gli impianti nucleari dell’azienda. La Ger­ma­nia spese cen­ti­naia di dol­lari all’ora per difen­dersi in tri­bu­nale. I tede­schi hanno capito con cosa aves­sero a che fare.

Meg Kin­near, segre­ta­ria gene­rale dell’Icsid ha affer­mato che i tri­bu­nali pri­vati inter­na­zio­nali non giu­di­cano le scelte di un governo, ma valu­tano se un con­traente ha infranto un accordo. Che c’è di sba­gliato?
Oltre a un effetto diretto, ce n’è anche uno indi­retto. Phi­lip Mor­ris ha denun­ciato il governo austra­liano per aver appro­vato una legge che limi­tava il bran­ding sui pac­chetti di siga­rette. La Nuova Zelanda, vicina di casa, ha sospeso un pro­getto di legge simile per non affron­tare lo stesso pro­blema: si chiama regu­la­tory chill.

Chi ci gua­da­gna di più dall’Isds?
I grandi studi legali come, per esem­pio, la White & Case: hanno un inte­resse enorme. Hanno creato una pro­pria asso­cia­zione, la Efila (Euro­pean Fede­ra­tion for Invest­ment Law and Arbi­tra­tion), che fa lob­by­ing per il Ttip e l’Isds.

Negli Stati dell’Europa cen­trale, molte imprese si oppon­gono al Ttip. Per­ché?
Le pic­cole e medie imprese euro­pee espor­tano pochis­simo verso gli Stati uniti. Per que­sto le Pmi austria­che, bel­ghe e tede­sche si oppongono.

Secondo la Com­mis­sione il Ttip sostiene le Pmi…
Anche la Cbi (Con­fe­de­ra­tion of Bri­tish Indu­stry) ha con­te­stato la posi­zione della Com­mis­sione durante un incon­tro. Tutti i bene­fici cal­co­lati sono ipotetici.

Per­ché la Com­mis­sione dovrebbe men­tire?
Ven­dere le poli­ti­che come «fun­zio­nali alle pic­cole e medie imprese» è una stra­te­gia tipica per coprire gli inte­ressi delle grandi cor­po­ra­tion e con­vin­cere il pubblico.

Ma la Com­mis­sione euro­pea «agi­sce nell’interesse gene­rale dell’Unione euro­pea»…
Su 597 incon­tri orga­niz­zati dalla Com­mis­sione per pre­pa­rare il nego­ziato con gli Usa, nell’88 per cento dei casi si è trat­tato di col­lo­qui con rap­pre­sen­tanti delle lobby del busi­ness. Ogni venti incon­tri con il mondo cor­po­rate, ce n’è stato uno con gruppi di inte­resse pub­blico (sin­da­cati, ong, ecc.). Si potrebbe affer­mare che le isti­tu­zioni deb­bano farsi un’idea di tutte le parti in gioco. Ma molte posi­zioni della Com­mis­sione ven­gono diret­ta­mente dalle lobby. La stessa City Uk (orga­niz­za­zione indi­pen­dente che pro­muove la City di Lon­dra) ha detto che il capi­tolo del Ttip sulla finanza è un copia e incolla della loro bro­chure. Abbiamo sot­to­mano scambi e-mail della Com­mis­sione in cui viene affer­mato che «si deve andare incon­tro al mondo del busi­ness, ma in modo discreto». Il grande busi­ness non influenza le nego­zia­zioni: detta l’agenda.

L’Italia si regge sulle Pmi, ma l’opinione pub­blica è a favore del Ttip.
In Ita­lia non c’è con­sa­pe­vo­lezza pub­blica. E poi il “com­mer­cio” non è sexy: non fai ascolti tv con il Ttip. Anche il Medef, la Con­fin­du­stria fran­cese, ha chie­sto alla Com­mis­sione euro­pea come possa garan­tire che 19 milioni di Pmi rie­scano a reg­gere la concorrenza.

Eppure com­mer­cio e con­cor­renza sono stati il pro­pul­sore della cre­scita delle nazioni…
Nes­suno vuole fer­mare il com­mer­cio. Gli inve­sti­menti diretti tra Ue e Usa ammon­tano già a diverse migliaia di miliardi di euro. La crisi ucraina, il mer­cato interno che non fun­ziona e le debo­lezze dell’Euro dovreb­bero essere le nostre prio­rità. Il Ttip allar­gherà ancora di più gli squi­li­bri nel nostro continente.

I numeri della Com­mis­sione: 120 miliardi di cre­scita per l’Ue e 545 euro a fami­glia. Non vale la pena?
Anche se la stima totale fosse cor­retta, è sba­gliato divi­derla per il numero di fami­glie. Solo una parte dell’economia euro­pea gua­da­gnerà dal Ttip: non sarà un buon accordo per Ita­lia, Est Europa e Litua­nia, per esempio.

Per­ché allora nei Paesi dell’est appro­vano il Ttip?
Quando cri­ti­chi un trat­tato di libero scam­bio con gli Usa, in alcuni luo­ghi si pensa che si cri­ti­chino gli Stati uniti in quanto tali.

La sto­ria gioca ancora un ruolo…
Asso­lu­ta­mente sì.

C’è chi dice che il Ttip abbia un valore geo­po­li­tico.
È vero, ma potremmo anche pen­sare di svi­lup­pare rela­zioni con altri paesi come i Brics.

Potreb­bero pen­dere il posto degli Stati uniti nella nostra bilan­cia com­mer­ciale?
Pro­ba­bil­mente no, ma si potrebbe pro­vare a diver­si­fi­care l’export.

Cosa suc­cede tra il 10 e il 17 otto­bre in Europa?
È la set­ti­mana inter­na­zio­nale di mobi­li­ta­zione con­tro il Ttip e il Ceta. Per il 10 otto­bre i sin­da­cati tede­schi hanno indetto una mobi­li­ta­zione a Ber­lino per fare pres­sione sulla Spd: sono attese circa 500mila per­sone. Tra il 15 e il 17 otto­bre, a Bru­xel­les ci saranno con­fe­renze e lan­ce­remo pro­po­ste per supe­rare il Ttip e costruire un’Europa solidale.

Qual è la posi­zione della Spd sul Ttip?
La linea di par­tito è a favore, ma sem­pre più depu­tati regio­nali e sin­daci stanno alzando la voce con­tro l’accordo.

Insomma i tede­schi potreb­bero far sal­tare il banco con le ele­zioni del 2017…
Chissà…

Come al solito la Ger­ma­nia decide per tutti?
Non sot­to­va­lu­te­rei gli elet­to­rati di Spa­gna e Gre­cia: non è stato rag­giunto un accordo sod­di­sfa­cente per la pro­te­zione di alcuni pro­dotti tipici nel qua­dro del Ceta.

Crede che la poli­tica possa ancora gui­dare l’Ue e influen­zare l’economia glo­bale?
La poli­tica ha dato le regole all’Ue e può anche cam­biarle. Fran­cia e Ger­ma­nia hanno un peso par­ti­co­lare. Il segnale che si darà sul Ttip avrà una valenza più ampia che riguarda i pro­cessi di globalizzazione.

Che idea si è fatta del dibat­tito sul Ttip in giro per l’Europa?
Se il Ttip venisse legato alla quo­ti­dia­nità, le per­sone capi­reb­bero di cosa si tratta. In Spa­gna il Ttip viene legato sem­pre di più al tema dell’austerity, in Ger­ma­nia alla sicu­rezza ali­men­tare e in Fran­cia alla pro­te­zione del set­tore culturale.

Sem­bra quasi un con­si­glio ai par­titi…
Non si tratta solo di con­vin­cere i par­titi. In Bel­gio anche parte della società civile si sta mobi­li­tando. Quando la gente vede che non sono i soliti sospetti fare resi­stenza, si chiede il perché.

Ci sarà un Ttip alla fine?
Spero di no.

In caso con­tra­rio basterà tra­sfe­rirsi negli Stati Uniti…
L’accordo non sarà un toc­ca­sana nean­che per gli Usa. Anche loro hanno motivi per essere spa­ven­tati. Lo scon­tro non è tra «noi» e «loro».

Tra chi allora?
La domanda prin­ci­pale rimane: dopo il Ttip avremo ancora la capa­cità di rego­la­men­tare l’economia? Potremo ancora deci­dere quali siano le nostre prio­rità poli­ti­che: è il com­mer­cio? È la lotta alla disoc­cu­pa­zione? È l’abbattimento della povertà? Lo scon­tro non è tra due con­ti­nenti, ma tra il grande busi­ness e l’interesse pub­blico all’interno di ognuna delle nostre società.

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