Erdogan minaccia Putin “Non scherzi col fuoco” Mosca ripristina i visti

Erdogan minaccia Putin “Non scherzi col fuoco” Mosca ripristina i visti

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ISTANBUL. Un caffè-libreria nel quartiere Fatih di Istanbul, anzi nella zona di Carsamba, una delle aree più conservatrici di questo che era il distretto bizantino conquistato dal califfo ottomano Fatih. Anche questa zona è popolata dai migliori integralisti sunniti della città: in alto sul muro ci sono i televisori accesi, di lato gli scaffali con i libri in vendita. Ci sono biografie di Osama Bin Laden, di Zarqawi, il capo di Al Qaeda in Iraq. Biografie, anzi agiografie, non libri in cui si racconta della loro uccisione: sembra una di quelle cartolerie con i calendari di Mussolini e la vita di Hitler a puntate.
Le tv ripetono a rullo continuo le ultime sparate di Erdogan contro la Russia di Putin, alternandole alle rassicurazioni, agli inviti al dialogo e all’incontro dopo che Ankara martedì scorso ha abbattuto un caccia russo al confine con la Siria. Russia e Turchia sono in guerra, ma non vogliono combattersi direttamente.
Il presidente turco con politica, militari e servizi segreti è un giocatore d’azzardo. Sa giocare sporco, benissimo. Come sa farlo da sempre Vladimir Putin. Uno è maestro dell’altro. «Sono pronto a incontrare il presidente Putin, gli ho telefonato dopo l’incidente ma non sono riuscito a parlargli», fa sapere conciliante Erdogan. Per tornare poi immediatamente ad alzare la fiamma: «La Russia non giochi col fuoco con noi! La Turchia sa difendere i suoi confini». Mosca replica con il ministro degli esteri Lavrov: la Russia ha deciso di reintrodurre dal primo gennaio i visti per i cittadini turchi.
Tutto questo per nascondere il fatto che, dopo aver sparato alto con l’abbattimento del Sukhoi 24, ora Istanbul non vuole allargare l’incendio, tanto che ha ordinato ai suoi aerei di non volare più sulla Siria: “per errore” un caccia russo adesso potrebbe abbatterne uno turco, la partita tornerebbe in parità. Il Cremlino conferma che Putin non risponde alle telefonate di Erdogan, i 2 uomini non si incontreranno lunedì al vertice internazionale di Parigi, ma forse potrebbero vedersi i ministri degli Esteri il 3 dicembre a Belgrado. Mosca intanto però in Siria continua a bombardare i miliziani che la Turchia ha armato.
Armato e sostenuto, perché di questo non c’è nessun dubbio. Come non c’è dubbio che fra i terroristi appoggiati ci sono proprio quelli dell’Is di al Baghdadi. L’altro ieri, dopo una sentenza della magistratura teleguidata dal governo, sono finiti in carcere il direttore del quotidiano Cumhuriyet Can Dundar e il suo collega Erdem Gul. Sono in prigione per accuse di “terrorismo”: avevano pubblicato le foto dei carichi di armi che il Mit, i servizi segreti turchi, per mesi hanno trasferito in Siria all’Is. Le foto sono del gennaio 2014: un giudice aveva fatto arrestare da un gruppo di poliziotti di campagna gli agenti segreti del Mit che scortavano i carichi di armi provenienti dall’aeroporto di Istanbul. Adesso il giudice è stato trasferito, i poliziotti arrestati e i giornalisti pure.
Ma non sono solo le armi e gli esplosivi forniti dal governo Erdogan all’Is perché i miliziani sunniti combattano fino in fondo il nemico alawita Assad. Sono i militanti dell’Is curati negli ospedali del Sud della Turchia, il petrolio che al prezzo di 1 milione di dollari al giorno l’Is per mesi ha venduto a trafficanti turchi perfettamente coperti dal regime di Erdogan.
«L’Is è uno degli strumenti di questa guerra sporca di Erdogan», dice un giornalista di Cumhuriyet che chiede di non essere citato, «una guerra che parte da ambizioni geo-politiche come quella di unire il mondo sunnita ed evitare che gli sciiti si colleghino da Iraq/Iran al Libano di Hezbollah passando proprio per la Siria. Una guerra economica, perché gli affaristi di Erdogan sono pronti a ricostruire la Siria con le loro imprese, pronti a fare commerci dalla Siria fino nel Golfo come stanno facendo già oggi con la guerra ».
Torniamo al petrolio: in maggio le forze speciali americane hanno fatto un blitz nella casa del “ministro del petrolio” dell’Is in Siria. Abu Sayyaf è stato ucciso, ma le casse di documenti e le pennette elettroniche USB del terrorista sono in mano alla Cia, e provano i dettagli dei traffici con la Turchia.
La situazione, l’infame intesa Erdogan/ Is sembrava potesse cambiare col sequestro dei diplomatici del consolato turco di Mosul. Il consolato fu espugnato dai miliziani dell’ISIS che conquistarono la città nel giugno del 2014. Ankara, il solito Mit, trattò, negoziò, pagò milioni di dollari e liberò miliziani dell’Is che erano in carcere in Turchia. Ma paradossalmente proprio in quella crisi i capi dei servizi segreti turchi rinsaldarono un rapporto diabolico e perverso con i tagliatori di teste che avevano sequestrato i loro 46 colleghi del consolato. I miliziani dell’Is erano “compagni sunniti che sbagliano”, pericolosi e sanguinari, ma sempre utili per combattere Assad. Ma soprattutto funzionali a chissà quale altro tassello della “strategia della tensione” di Recep Tayyip Erdogan.


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