L’avvocato dei curdi ucciso ad Ankara: Esplode la rabbia

L’avvocato dei curdi ucciso ad Ankara: Esplode la rabbia

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UN SOLO colpo di pistola alla testa, la pallottola è entrata da un occhio. È morto così ieri l’avvocato Tahir Elçi, un giovane, famoso, coraggioso difensore dei diritti umani in Turchia. Era l’avvocato del Pkk in un processo: aveva condannato la violenza del gruppo curdo, ma aveva anche detto che quello non era più un gruppo terrorista. E per questo lui stesso era finito sotto processo.
La Turchia rimane un calderone di violenza generalizzata, in perenne ebollizione. E assieme alla guerra di Siria, che ha portato allo scontro frontale con la Russia di Vladimir Putin, Erdogan tiene accesi i fuochi del nazionalismo più sfrenato che gli servono a mantenere il potere in maniera violenta e spregiudicata.
Ieri mattina l’avvocato Elçi assieme a una quarantina di attivisti per i diritti umani stava tenendo una dichiarazione alla stampa accanto a un minareto a Diyarbakir, la “capitale” dei curdi nell’Est della Turchia. Il minareto era stato danneggiato durante scontri fra studenti e polizia il giorno precedente, e lui invitava a proteggere i simboli sacri dell’Islam chiedendo a tutti una tregua. All’improvviso è arrivata un’auto, un taxi, è iniziata una sparatoria con alcuni poliziotti, qualcuno ha mirato verso Elçi e lo ha ucciso: un colpo solo.
Per il presidente Erdogan si tratta di «un incidente che mostra quanto sia nel giusto la Turchia nella sua lotta determinata contro il terrorismo» curdo. Ma nessuno ha dubbi, lo squadrone della morte piombato sugli attivisti turchi aveva l’ordine di sparare per uccidere, e l’hanno fatto talmente bene da centrare il leader degli avvocati di Diyarbakir e due poliziotti. Una regione in cui da 40 anni la popolazione curda chiede maggiore autonomia; in cui per anni gruppi militanti ricorrendo anche ad atti di terrorismo come il Pkk hanno infiammato una guerriglia che ha fatto 40 mila morti. Guerriglia interrotta 3 anni fa per un negoziato di pace che Erdogan ha fatto saltare pochi mesi fa, quando ha capito che aveva più interesse a rinnovare lo scontro con i curdi per creare allarme nel paese e raccogliere il voto di centro e di destra nelle elezioni.
Noto per l’equilibrio, per la moderazione con cui gestiva il delicatissimo rapporto fra la polizia e i militanti curdi che difendeva, Elçi veniva invitato spesso in tv, era famoso in tutto il paese. E proprio in tv a metà ottobre aveva detto semplicemente che «il Pkk non è un’organizzazione terroristica, anche se alcune sue azioni sono atti di terrorismo: è un gruppo politico, che rivendica i diritti dei curdo. Io condanno la violenza, ma le richieste politiche sono politiche». Immediatamente la polizia era entrata nel suo studio, gli aveva consegnato il mandato a comparire davanti al giudice per essere processato per «apologia di terrorismo a mezzo stampa». Pena possibile: 1 anno e 7 mesi.
Dopo il suo assassinio in tutta la Turchia l’opposizione è scesa in piazza gridando all’omicidio di regime: il Partito democratico del popolo, quell’Hdp che per la prima volta è riuscito ad entrare in parlamento, ha denunciato «l’assassinio premeditato » di Elçi. Dai cortei sono saliti gli slogan “marciamo insieme contro il fascismo”, “Tahir Elçi è immortale”. A Istanbul, ad Ankara, in molte altre città migliaia di militanti hanno sfidato i divieti della polizia, che ha attaccato con manganellate e cannoni ad acqua.
Sul fronte della libertà di stampa cancellata da Erdogan, ieri dal carcere di Istanbul è stata spedita una “lettera aperta” all’Unione europea. L’hanno scritta Can Dundar ed Erdem Gul, direttore e caporedattore di Cumhuriyet, il migliore quotidiano dell’opposizione. Oggi c’è un vertice Ue-Turchia e i due giornalisti arrestati per aver pubblicato le foto del traffico di armi con l’Isis al confine siriano chiedono all’Europa di «non chiudere gli occhi sulle pratiche che violano i diritti umani e la libertà di stampa».
Ma Erdogan nel frattempo ha un caldo fronte di guerra in cui ha ingaggiato uno scontro durissimo con un altro autocrate, Vladimir Putin. Il presidente russo ieri sera ha firmato il decreto che vara le sanzioni economiche annunciate contro la Turchia: un colpo pesante, assestato ad Ankara poche ore dopo che Erdogan si era detto «rattristato » per l’abbattimento del Su-24 russo, senza però riuscire a pronunciare la parola «scuse» che la Russia pretende di sentirsi rivolgere.
Putin ha scelto di non reagire militarmente. Preferisce le sanzioni commerciali: vieta l’importazione dei prodotti turchi (che verranno specificati in una lista stilata dal governo), vieta le attività delle organizzazioni turche, vieta le assunzioni di cittadini turchi a partire dal primo gennaio (sono 200 mila quelli che vivono in Russia).


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