Ahmad, il “rifugiato” e i suoi sei fratelli fantasmi negli archivi di tutte le intelligence

Ahmad, il “rifugiato” e i suoi sei fratelli fantasmi negli archivi di tutte le intelligence

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PARIGI. UN PASSAPORTO siriano. Un nome. Ahmad Almohammad. La storia di una notte di guerra, nera come le silhouette del commando islamista dello Stato Islamico in cui non tutti hanno trovato o cercato il martirio, nera come le macchine, una Seat e una Volkswagen Polo, su cui quel commando si era diviso e viaggiava, comincia da un documento di identità. Ahmad Almohammad, appunto. Cittadino siriano nato il 10 settembre del 1990. Un visto di rifugiato politico rilasciato dal ministero dell’Interno greco il 3 ottobre scorso nel centro di raccolta dell’isola di Leros. Un profilo Facebook in lingua araba con la sola identità, privo di foto e di post. Una misteriosa X negli archivi di tutte le intelligence europee. Un giovanissimo uomo di 25 anni senza un apparente passato. Un fantasma scomparso dall’isola di Leros quel 3 ottobre e riapparso nella notte di Parigi quaranta giorni dopo. Forse transitando dall’Italia (ma in questo caso senza lasciare alcuna traccia). Forse dal Belgio.
Nella notte di venerdì, il passaporto di Ahmad Almohammad, ammesso documenti la sua vera identità, è la cosa più importante che la polizia francese raccoglie da ciò che resta di un torso di uomo dilaniato dalla cintura esplosiva che indossava di fronte ai cancelli dello Stade de France. Perché Ahmad è uno degli sette “fratelli” del Califfato che devono lavare nel sangue «l’onta al Profeta». È uno dei martiri imbottito di Tatp (perossido di acetone concentrato) e bulloni che devono seminare contemporaneamente l’orrore a Saint Denis e nel decimo e undicesimo arrondissment. Una miscela esplosiva di cristalli di polvere bianca inodore estremamente instabile. Sensibile agli urti, capace di detonare ancor prima che l’innesco faccia il suo lavoro. Con Ahmad, allo Stade de France, sono altri due. E come lui si faranno saltare alle 21.30 (di fronte ai cancelli di entrata H) e alle 21.53 (in rue della Coquerie, non lontano da un Mc Donald’s). Uno di loro ha il passaporto egiziano. Più a sud, due automobili con altrettante squadre a bordo, finiscono il lavoro. Come ricostruirà ieri sera il Procuratore di Parigi Francois Molins, «alle 21.30, in Rue Fontaine au Roi, da una macchina Seat di colore nero vengono esplosi un centinaio di colpi calibro 7,62 verso il café Bonne Biére». Mentre, «alle 21.38, in Rue de Charonne, altri cento colpi di 7,62, investono la clientela del Café Belle Equipe», ancora una volta esplosi da fucili di assalto e ak-47 imbracciati da uomini a bordo di una Seat nera (verosimilmente la stessa). Da una seconda auto, una Volkswagen Polo nera, alle 21.49, scendono invece i tre martiri che devono tirare nel mucchio all’interno del teatro Bataclan. Moriranno tutti. Non prima di essersi trascinati dietro la vita di 86 innocenti. Mentre un quarto martire, in Boulevard Voltaire, salta in aria dilaniato dalla stessa miscela di Tatp e bulloni utilizzata allo Stade de France.
Ahmad il siriano, un egiziano e altri cinque cadaveri, dunque. Che “parlano”. Come i primi due. L’impronta digitale dell’indice della mano destra di uno dei tre corpi recuperati al Bataclan appartiene a un cittadino francese. «È nato il 21 novembre del 1985 a Curcourognes — spiegherà ancora il Procuratore di Parigi — nella regione dell’Essonne. Ha precedenti penali, otto condanne inflitte tra il 2008 e il 2010 per reati generici, ma non è mai stato detenuto. Dal 2010 era noto ai servizi antiterrorismo, che lo avevano schedato con la fiches “S” (sicurezza ndr.)perché in contatto con elementi di spicco di un gruppo radicale della periferia di Parigi, pur non essendone parte trainante» (e infatti a tarda notte a Curcourognes verranno fermati il padre e il fratello). Mentre degli altri quattro cadaveri, tre almeno sarebbero di cittadinanza belga. E tutti ignoti agli archivi dell’intelligence francese.
È un dettaglio cruciale. Perché incrocia il “prima” e il “dopo” di questa notte. Perché dice molto della composizione “mista” del commando, format utilizzato per confondere l’intelligence e spuntarne la capacità di prevenzione, e dei suoi mandanti. Perché indica nell’asse Parigi-Bruxelles il binario su cui prima di venerdì e da questa notte in avanti si muove la paura che fa dire al premier Valls “non è finita”. Hanno infatti la targa belga la Volkswagen Polo abbandonata non lontano dal Bataclan e la Seat che ha vomitato fuoco in Rue Fontaine e rue de Charonne e che verrà ritrovata al cimitero di Pere Lachaise. Ed è in Belgio che le due auto sono state affittate da un cittadino francese che, ieri, verrà arrestato al confine con la Francia mentre, insieme ad altri tre belgi, sta provando a rientrare a Bruxelles, nel sobborgo di Molenbeek.
Non è un caso che, mentre nella notte che sta per cominciare, gli allarmi a Parigi si inseguano tra l’evacuazione dell’area circostante la torre Eiffel (quindicesimo arrondissment) e l’irruzione delle squadre antiterrorismo nell’hotel Pullman alla caccia di chi ancora si vuole in fuga, è in Belgio che ragionevolmente si trovi la chiave in grado di venire a capo dell’orrore. I quattro uomini arrestati al confine (il cittadino francese e i tre belgi) potrebbero infatti consentire di tirare il filo che porta a chi del commando originario (fiancheggiatori e basisti inclusi) è ancora in fuga. Di chiarire se — come pure vorrebbero alcune delle testimonianze raccolte tra i superstiti della strage del Bataclan — al gruppo apparterrebbe anche una donna. Perché — come riferiscono fonti di polizia a Bruxelles — «è certo che il cittadino francese arrestato, venerdì notte, fosse a Parigi». Magari proprio al volante di quella Seat poi abbandonata al cimitero di Pere Lacheise.
Del resto, anche le armi usate dal commando portano fuori dalla Francia. E non a caso hanno fatto dire per l’intera giornata di ieri, prima di far registrare un’improvvisa prudenza, che all’orrore di Parigi sarebbe legato anche l’arresto, nella regione di Monaco di Baviera, di un cittadino montenegrino proveniente dalla Slovenia, nella cui auto sono stati trovate armi da guerra ed esplosivo apparentemente destinati a Parigi (città settata sul navigatore dell’auto).


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