Diritti globali: il nuovo disordine mondiale e la guerra contro i poveri
La dura risposta del presidente Hollande ai vili attacchi che hanno insanguinato Parigi il 13 novembre riporta sul tavolo della discussione l’ipotesi di un intervento militare coordinato dalla comunità internazionale in Siria: intervento che potrebbe avere oggi una sua ragione di esistere, ma certo non senza una strategia più ampia alle sue spalle. Per mettere fine alle radici profonde del terrorismo i missili non servono; è indispensabile abbattere quella prigione fatta di miseria e marginalizzazione di cui soffrono i poveri del mondo, che nella disperazione del quotidiano trovano conforto e inclusione nell’ideologia di crudeli invasati da una parte, e in partiti estremisti nell’altra.
Anche se ci costringiamo a non vederle, queste prigioni, non possiamo sfuggire alle conseguenze che ne derivano. Il 13esimo Rapporto sui diritti globali, presentato oggi a Roma, prova a tracciarne i nuovi confini descrivendo “il nuovo disordine mondiale” (e qui la bufala del Nwo non c’entra niente).
Il 2015 – si legge nella presentazione del dossier – è stato l’anno dei nuovi muri, delle barriere di filo spinato erette nel cuore del continente europeo, a tentare di isolare il contagio dai dannati della terra; gli effetti delle guerre e delle diseguaglianze si sono tradotti in un vero e proprio esodo, di fronte al quale l’Europa e le sue istituzioni si sono mostrate in tutta la fragilità, divisione, impotenza. Un esodo che, a inizio novembre 2015, ha già prodotto, nel solo Mediterraneo, oltre 3.400 vittime, tra le quali un numero crescente di bambini.
Nel mondo la povertà assoluta arretra, ma l’esercito dei nuovi poveri ha sempre pronte nuove reclute: con la crisi economica, sempre più spesso arrivano anche dai paesi d’antica industrializzazione (come l’Italia). Nel Rapporto sui diritti globali si parla di guerra contro i poveri: la “lotta di classe dall’alto” nell’ultimo anno, in diverse aree geografiche, ha preso la forma di una guerra contro i poveri e di un divorzio progressivo tra capitalismo globale e democrazia. Secondo le statistiche europee, nell’Unione vi sono 122,6 milioni di persone a rischio di povertà ed esclusione, vale a dire quasi un europeo su quattro; all’inizio della crisi erano 116 milioni. L’Italia registra il 28,4%, dato superiore alla media europea, per un totale di 17 milioni e 330mila persone. Al contempo, nel quadriennio 2008-2012 – complessivamente, sebbene in modo molto differenziato tra i diversi Stati membri – l’Europa ha disinvestito nel welfare, in ossequio agli imperativi dell’austerità e del Fiscal compact, con un taglio sulla spesa sociale europea per un ammontare totale di circa 230 miliardi di euro.
Una tendenza che non ha fatto altro che rinforzare quella che viene definita come l’oscena piramide della disuguaglianza: la ricchezza delle 80 persone più facoltose al mondo è raddoppiata in termini nominali tra il 2009 e il 2014, mentre la ricchezza del 50% più povero della popolazione nel 2014 è inferiore a quella posseduta nel 2009. Ottanta super-ricchi possiedono la medesima quantità di ricchezza del 50 per cento più povero della popolazione mondiale, 3 miliardi e mezzo di persone.
È evidente come questa sia la fotografia di uno sviluppo ancora assai lontano dal poter essere definito “sostenibile”: dal rapporto Brundtland pubblicato nel 1987 l’obiettivo rimane quello di «uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Al momento entrambe le esigenze non sono rispettate.
Eppure, non sono le risorse economiche a mancare. Come evidenzia il Rapporto sui diritti globali, dal 2007 le Banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato la quantità di moneta da 35 mila miliardi di dollari a 59 mila miliardi. Un mare di liquidità che ha inebriato i mercati finanziari, ma non è “sgocciolato” a sostenere l’economia precaria delle famiglie e delle piccole imprese, mentre è continuata la sciagurata politica dell’austerity. Alcuni eminenti economisti, in una lettera recentemente pubblicata sul Financial times, hanno proposto un cambio di rotta e lanciato la proposta di un “Quantitative easing for the people”, per immettere quest’enorme liquidità direttamente nell’economia reale. Non hanno avuto fortuna, ed è un vero peccato. Ne basterebbe una piccola frazione, secondo stime Unep il 2% del Pil globale, per accelerare la conversione verso un’economia verde, dove miseria e terrore possano lasciare spazio alla sostenibilità.
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Non è premessa di infauste restriziioni di legalità il fatto che Renzi, per decreto. abbia depenalizzato 112 reati, quando sappiamo che l’80% della popolazione carceraria è fornita dal reato per tossicodipendenza e dalla legge sulla clandestinità? Queste misure allungheranno solo la durata media dei processi civili(oggi a 8 anni di media) andando a scoraggiare la vittima dall’intraprendere a sue spese e senza esito certo la strada del processo risarcitorio. lo Stato acquisirà pochi denari in quanto le vittime non troveranno vantaggio dalla sola denuncia, pertanto ne risulteranno scoraggiati. Si può depenalizzare furto, percosse, abbandono di minore, abuso d’ufficio, abuso dei mezzi di correzione, violazione di domicilio, infedele patrocinio, truffa, falsità meteriale, omicidio colposo, incesto…etc?