Extravergine solo nell’etichetta inchiesta sul gotha dell’olio italiano

Extravergine solo nell’etichetta inchiesta sul gotha dell’olio italiano

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TORINO. Costano poco, forse troppo poco, ma soprattutto non sono quello che dicono di essere. “Olio extravergine d’oliva” c’è scritto in etichetta, indicando una qualità superiore che però spesso non corrisponde alla realtà, con un prezzo comunque più alto, circa il 35 per cento in più, rispetto all’olio “normale”. I test hanno smascherato l’inganno, e ora nei guai sono finite sette grandi aziende italiane. Carapelli, Bertolli, Coricelli, Sasso, Santa Sabina, Primadonna e Antica Badia: l’accusa, per loro, è di frode in commercio. La contesta la Procura di Torino che ha inviato un avviso di garanzia ai rispettivi rappresentanti legali, dopo aver ricevuto i risultati dei test eseguiti dall’Agenzia delle Dogane. Allo stesso laboratorio chimico, cioè, cui si era rivolta, qualche mese fa, la rivista dei consumatori “Il Test”, che aveva già “bocciato” nove bottiglie su 20, così come anticipato a maggio da Repubblica.
Un’inchiesta, quella dei consumatori, che non era nata per caso, ma dalla pessima annata che, tra maltempo e insetti, aveva messo in ginocchio il settore. «Da mesi abbiamo rafforzato i controlli, soprattutto in considerazione di un’annata olearia tra le più complicate degli ultimi anni », commenta il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. «Nel 2014 l’ispettorato repressione frodi ha effettuato 6mila controlli sul comparto, con sequestri per 10 milioni di euro», aggiunge.
I risultati delle prove, chimiche e organolettiche, sugli oli controllati da “Il Test” sono arrivati anche sulla scrivania del procuratore Raffaele Guariniello, da sempre attento ai controlli sulla sicurezza alimentare. «Non è un problema di salute, ma di correttezza nei confronti dei consumatori, oltre che di prezzo», spiega infatti Riccardo Quintili, direttore de “Il Test”.
Il pm ha quindi mandato i carabinieri dei Nas di Torino a campionare le principali marche di extravergine dagli scaffali dei supermercati. I risultati hanno confermato che le bottiglie di ben sette marche dovevano essere “declassate” a semplice olio “vergine” (sempre di qualità, ma non superiore). Questione di acidità, anzitutto, (quella “libera” non deve superare lo 0,8%) ma anche di una serie di caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore, aspetto) che fanno parte del cosiddetto “panel test” utilizzato per la valutazione. L’inchiesta ora continuerà con accertamenti sulla provenienza delle olive.
Le sette aziende indagate producono olio in Liguria, Toscana e Abruzzo. Anche per questo il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, sta valutando la competenza territoriale. E vorrebbe al contempo ritagliarsi un ruolo nell’inchiesta, anche per capire come si sia diffusa la notizia dei sette indagati.
La Coldiretti denuncia il rischio di frodi «favorito dal record di importazioni: nel 2014 sono arrivate dall’estero 666 mila tonnellate di olio e sansa, il 38 per cento in più rispetto all’anno precedente». Mentre Luigi Caricato, di Olio-Officina, replica: «Oggi c’è una qualità che un tempo ci sognavamo. L’imprenditoria è sana e i supermercati non mettono in gioco il marchio per delle truffe».


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