Il lato oscuro della sharing economy

Il lato oscuro della sharing economy

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UN ibrido tra i lavoratori in affitto, i lavoratori autonomi e gli agenti di commercio pagati in base ai clienti che procacciano o alle polizze che riescono a fare acquistare. Più che alla sharing economy il lavoro “uberizzato” fa venire in mente una versione tecnologica del mercato delle braccia che ancora esiste nelle campagne del sud e non solo. Certo, l’enorme differenza è che non c’è un singolo insindacabile compratore, ma una miriade di potenziali compratori tra cui scegliere secondo la propria convenienza e bisogno. Anche se poi c’è sempre un “padrone” invisibile, ma potente, che in base alle proprie insindacabili decisioni, pardon algoritmi, decide se tenerti o no sulla propria piazza virtuale e trae consistenti profitti dal tuo lavoro. Anche sulle piattaforme digitali si è lungi dall’essere uguali nei rapporti di lavoro. Imprenditori di se stessi, della propria forza lavoro, con l’illusione della libertà nella gestione del proprio tempo, ma non certo rispetto alle proprie necessità di bilancio, senza protezione finanziaria e senza welfare. Fuori dalla finzione del finto lavoro autonomo delle finte partite Iva e dei contratti a progetto che hanno le stesse rigidità del lavoro dipendente senza le medesime garanzie. Liberi professionisti, che tuttavia devono pagare salata l’intermediazione del loro lavoro. Questo sono i lavoratori che offrono il proprio lavoro sulle piazze intermediate della rete.
Per qualcuno, come si diceva una volta del lavoro interinale, può essere davvero una scelta di vita, che consente di lavorare quando e quanto si vuole, purché si guadagni abbastanza per soddisfare le proprie necessità, purché non ci si ammali troppo spesso o troppo seriamente, e senza preoccuparsi della vecchiaia. Per altri, specie se giovani ancora studenti, un modo relativamente facile di procurarsi un po’ di reddito senza dover dipendere del tutto dai genitori, che tuttavia provvedono al tetto sulla testa e al cibo in frigorifero, o per integrare una borsa di studio. Può anche essere un modo di procurarsi un secondo lavoro esentasse. Per molti, tuttavia, come testimoniano le prime azioni di protesta dei lavoratori per Uber o per Amazon, può essere una trappola sia sul piano economico che dei diritti ad essere trattati con giustizia.


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