Le voci sul palco di Roma: “La guerra non è la risposta”

Le voci sul palco di Roma: “La guerra non è la risposta”

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Le voci dal palco della Fiom. Isabelle Hérault, della Cgt: Hollande ci illustri le modifiche alla Costituzione. Balquisa Mayga, immigrata dal Mali: «Prima di tutto integrare chi arriva in Europa». Oslim Tanrikulu, lavoratrice curda: «Subiamo massacri. Ma quei terroristi non sono soli»

ROMA. «Tante vite falciate, lutti per le nostre famiglie. Sono stati colpiti i giovani, i nostri parenti, i nostri amici e compagni nelle lotte. Uccisi nei luoghi di cultura e del tempo libero». Isabelle Hérault, sindacalista della Cgt, è venuta da Parigi con una collega per parlare alla piazza dei metalmeccanici Fiom. «Le vittime degli attentati sono di tutte le culture e di tutte le religioni».

«Per cosa, per chi, a quale fine quelle stragi? — chiede la sindacalista francese — Non c’è nessuna giustificazione per quello che è successo, ma la guerra non risolve i problemi, non è la risposta. Abbiamo visto gli attentati contro la Russia, e in Turchia, a Beirut, in Mali. Veniamo da anni di molteplici interventi militari, in Iraq, in Siria, in Libia. Lungi dal portare la democrazia in quei luoghi, alimentano la catena dei conflitti, dell’odio, portano la crisi. Su questi semi poi si sviluppa il terrorismo».

L’esponente della Cgt lancia dunque un appello per la pace, indirizzato ai governi europei, ma prima di tutto al presidente francese François Hollande: «La Francia ha deciso di scendere in guerra — dice — ma la Francia è anche il secondo paese esportatore di armi nel mondo, prima di Russia e Cina. Fermiamo il commercio internazionale di armi con i paesi che hanno legami con i terroristi, decidiamo soluzioni multilaterali sotto l’egida dell’Onu».

«Hollande ha deciso uno stato di urgenza per tre mesi, con la restrizione delle libertà collettive e individuali — ha concluso la sindacalista francese — Noi sollecitiamo un incontro con il presidente della Repubblica perché ci illustri le modifiche alla Costituzione che intende fare. E più in generale continueremo a difendere i valori della democrazia, dell’uguaglianza, della fraternità, del lavoro, respingendo lo stigma verso le altre culture e le diverse religioni».

Gli interventi dal palco erano stati aperti da Balquisa Mayga, lavoratrice immigrata proveniente dal Mali, che ha tenuto un discorso appassionato, applaudito più volte dal pubblico delle tute blu, nonostante la pioggia battente su Piazza del Popolo.

«Dopo i fatti di Parigi — ha esordito Mayga — voi europei potete capire le paure che noi africani viviamo da tempo. Potete capire perché noi preferiamo rischiare la vita per cercare un’altra terra, e fuggire attraverso il mare, perché noi come voi siamo vittime dei terroristi. Eppure qui in Italia sento gli sguardi tutti su di me, sono io a mettere paura, in quanto immigrata, in quanto diversa. La lotta al terrorismo si fa prima di tutto integrando chi arriva in Europa, anche per non permettere che quelle persone siano attratte dalla propaganda dei terroristi».

«Associare l’Islam e il terrorismo è una bestemmia, lo ha detto anche il papa — continua l’immigrata dal Mali — Non si uccide in nome di dio, le persone che compiono quegli orrendi omicidi sono senza fede e senza dio. Sono tutto tranne che musulmani». «Io avevo paura dopo aver sentito quello che è successo in questi giorni nel mio Paese — conclude Mayga — ma poi quando esco per strada ho la sensazione di far paura io agli altri. E non è una cosa bella».

La parola passa poi a Oslim Tanrikulu, lavoratrice curda. Racconta la lotta difficile e spesso solitaria del suo popolo, oppresso da regimi violenti come quello turco, schiacciato tra Siria e Iraq, decimato dall’orrore cieco dell’Isis.

«Parlo a nome del popolo turco, che da decenni lotta per l’autonomia e la libertà — dice ai metalmeccanici Cgil che la ascoltano dalla piazza — Subiamo l’occupazione delle nostre terre, il massacro della nostra gente da parte dell’Isis. Ma quei terroristi non sono soli, contano sugli alleati della Turchia, dell’Arabia saudita».

«Se vogliamo che si risolvano le guerre, che si avvii un processo di democratizzazione del Medio Oriente — conclude l’esponente curda — cominciamo ad agire dall’Europa: interrompiamo il commercio delle armi verso quelle terre. L’Italia non venda più armi se c’è il rischio che finiscano nelle mani sbagliate».

La pioggia taglia gli interventi, prima di passare la parola a Maurizio Landini. Ha il tempo di intervenire Carmela Lapadula, del coordinamento No Triv. Ricorda i «sei quesiti referendari depositati in Cassazione, che potrebbero portare a un referendum nel 2016. Per abrogare norme dello Sblocca Italia e del governo Monti che mettono a rischio i nostri territori, l’ambiente e le nostre coste». «La Fiom, nonostante tanti metalmeccanici lavorino nel settore del fossile, ha accettato la sfida e appoggia i referendum, perché crede nella riconversione ecologica della nostra produzione energetica».



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