Preso l’artificiere caccia all’ottavo uomo Ma il mondo trema “Colpiranno ancora”

Preso l’artificiere caccia all’ottavo uomo Ma il mondo trema “Colpiranno ancora”

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 PARIGI. ORA è una corsa contro il tempo. Per mettere le mani su Salah Abdeslam, l’ottavo uomo del Venerdì 13. Per rendere inoffensiva la sua disperazione di animale braccato. Per arrivare, questa volta, un istante prima che tutto nuovamente si compia. A Parigi. Piuttosto che in un altro angolo della Francia, o a Londra, Roma, Washington.
“COLPIREMO ANCORA LA FRANCIA”
L’angoscia — amplificata dai warning dell’intelligence Usa — è alimentata dalle intercettazioni preventive della Dgsi (la Direction Generale de la Securité Intérieur, i Servizi interni) che da sabato mattina hanno registrato un’escalation di segnali, appelli, sollecitazioni negli ambienti del radicalismo islamista «a colpire ancora la Francia». Questo spiega le 168 perquisizioni nella notte di domenica in diverse città nella regione dell’Ile de France, a Lille, Lione, Tolosa, Marsiglia, Grenoble, i 23 arresti preventivi, i 104 obblighi di dimora imposti ad altrettanti “sospetti” di fiancheggiamento jihadista e la scoperta di arsenali. A cominciare da quello più significativo, a Lione, dove sono state recuperate armi da guerra e un lancia granate. Questo spiega la frenesia inconcludente con cui, per ore, ieri pomeriggio, si è cercata in Italia una Seat di colore nero di cui le autorità francesi avevano diramato un ordine di ricerca in Europa e che si voleva entrata in Italia nel pomeriggio di sabato scorso. Ma che in Italia non era mai arrivata e altro non era che l’auto poi ritrovata nella notte tra sabato e domenica scorsi a Montreuil e utilizzata da una delle squadre del commando.
SALAH E ABDELHAMID
Del resto non c’è nulla di neppure vagamente rassicurante in quello che continuano a svelare le indagini. Solo ora, infatti, si scopre che i tre fratelli Abdeslam (Salah, il fuggitivo, Ibrahim, morto in boulevard Voltaire e Mohammed, arrestato sabato a Bruxelles e rilasciato) erano cresciuti al verbo e alla scuola dell’odio di Abdelhamid Abaaoud, il mastermind di origini marocchine e cittadinanza belga che, in gennaio, aveva messo insieme la cellula di Verviers collegata alla strage di Charlie Hebdo. Lo psicopatico che in un video girato nel deserto della Siria spiegava: «In Francia ci divertivamo a farci trascinare dagli sci d’acqua. Qui, lo facciamo con i cadaveri». E che, da mesi, saltava fuori in ogni singola inchiesta su progetti di attentato sul suolo francese.
LE FALLE TRA PARIGI E BRUXELLES
Ora fonti giudiziarie, polizia e intelligence dicono che anche il Venerdì 13 abbia le stimmate di Abdelhamid. Che la sua organicità all’Is (la sua ultima apparizione documentata dagli 007 francesi lo colloca a Raqqa, la capitale del Califfato) confermerebbe che i 130 morti di Parigi sono vittime di una condanna a morte pronunciata in Siria dal tribunale senza appello di Al Baghdadi. Epperò nessuno è in grado di spiegare lungo l’asse Parigi- Bruxelles per quale diavolo di motivo i francesi ignorassero questa circostanza nota ai belgi (Abdelhamid e Salah Abdeslam erano stati arrestati insieme per rapina a Bruxelles nel 2010 e avevano condiviso, con il Corano, anche la cella). Né, per quale motivo i belgi solo nelle ultime 48 ore abbiano mosso con decisione su Molenbeek e la sua comunità, in cui, almeno dal 2001, ogni cosa destinata a cambiare la storia dell’estremismo islamico in Europa è cominciata.
ARRESTATO L’ARTIFICIERE Non a caso la pesca a Molenbeek non è stata infruttuosa. Perché se è vero che dei sette arrestati domenica scorsa a Bruxelles dalla polizia belga, cinque sono stati rilasciati (tra loro, il terzo dei fratelli Abdeslam), due sono ora incriminati dalla Procura federale. Uno di loro, Mohamed Amri, cittadino belga, era a bordo della Volkswagen Golf di cui è proprietario e su cui, all’alba di sabato, Salah Abdeslam, l’ottavo uomo, era rientrato da Parigi a Bruxelles. Una macchina che era stata controllata alla frontiera dalla gendarmerie francese e lasciata proseguire, prima di essere nuovamente fermata, questa volta dai belgi e a Molenbeek. Amri — come documenta l’atto di accusa della Procura federale belga — è stato l’artificiere del commando. Quello che ha confezionato le cinture con esplosivo Tatp (perossido di acetone) e bulloni con cui si sono fatti saltare sei dei sette “martiri”. E nella sua casa-laboratorio a Molenbeek ne sono state trovate le prove. Un gran quantitativo di nitrati e materiali elettrici. Una volta arrestato, aveva provato a giustificare la sua presenza sulla Golf in compagnia di Salah Abdeslam e di un altro uomo (anche lui arrestato), sostenendo di aver ricevuto una telefonata nella notte tra venerdì e sabato da Parigi con cui l’amico lo pregava di andarlo a prendere e di “non aver collegato quella richiesta di aiuto agli attentati”. Una sciocchezza che non ha retto alla perquisizione della sua abitazione.
IL MISTERO DEL TWEET
L’arresto dell’artificiere è un altro significativo punto segnato dall’inchiesta. Che tuttavia deve ancora sciogliere alcuni nodi cruciali. Perché del commando degli 8, Salah Abdeslam è il solo sopravvissuto? Perché, dopo aver assistito alla morte dei suoi 7 fratelli non è andato anche lui incontro al suo destino, dando corso all’ultimo passaggio del piano che — ne sono convinti gli investigatori — contemplava di colpire il diciottesimo arrondisement e il Montmarte? Non solo. È di ieri la scoperta che l’ordine di assalto al Bataclan e nell’undicesimo arrondisement è arrivato sui cellulari di tutti gli uomini del commando con un tweet postato da un account anonimo. Una foto scattata dall’alto che ritraeva un angolo dell’edificio del teatro. Chi lo ha inviato? Forse un basista ancora a Parigi? Salah? Anche per questo è importante che la sua corsa finisca. E presto.


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