Sanità, si spacca il fronte delle Regioni
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ROMA «O scegliamo il muro contro muro e la demagogia, o giochiamo la carta della serietà e noi ci siamo. Ma bisogna essere chiari, il fondo per la Sanità aumenta e non c’è un taglio». Matteo Renzi chiude alla richiesta delle Regioni di aumentare le dotazioni per la salute nel 2016. La sua risposta, nel corso del faccia a faccia di ieri con i governatori, è stata un «no» secco, appena addolcito dalla costituzione di due tavoli di verifica sui costi. Soluzione che permette al presidente dimissionario della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, di definire l’incontro positivo «perché si individua un percorso», ma non evita al governatore del Veneto, Luca Zaia, di dire che ormai «l’offerta sanitaria regionale è a rischio».
Con a fianco il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e quello della Salute, Beatrice Lorenzin, Renzi ha escluso nella maniera più assoluta di essere disposto a riaprire i cordoni della borsa. E non c’è molto margine neanche sugli altri capitoli della legge di Stabilità appena arrivata in Parlamento. Padoan ieri l’ha difesa dalle critiche «selettive», che non tengono conto del quadro d’insieme, «sbagliate e distorte», e ha lasciato intendere in Parlamento che non ci saranno grandi spazi per modifiche.
Le pensioni saranno affrontate l’anno prossimo, ha detto il ministro, e sempre «senza indebolire» il sistema. Così come si cercheranno le risorse per i contratti del settore pubblico, ma nel 2017. Le clausole di salvaguardia che prevedono tra il 2017 e il 2018 gli aumenti dell’Iva non saranno eliminate, ma solo dimezzate.
La commissione Bilancio del Senato lavora su modifiche minime. «Il margine di manovra è di 300 milioni» conferma uno dei relatori, Federica Chiavaroli (Ap). Si tenta la cancellazione dell’Imu per le case date in comodato gratuito ai figli, di rafforzare la decontribuzione per i nuovi assunti al Sud, di limitare il taglio dei fondi previsto dalla Legge a carico di Caf e patronati (meno 100 milioni). Una delle poche cose certe è, per ora, la reintroduzione del limite di mille euro all’uso del contante per le transazioni eseguite nei «money transfer».
Per le Regioni, intanto, la strada è tutta in salita. Quest’anno hanno dovuto fare un taglio di 2,3 miliardi al Fondo sanitario, ma la Lorenzin ha detto ieri al Corriere.it che la spesa farmaceutica ospedaliera rischia di sforare di altri 2 miliardi. Per il 2016 le Regioni si aspettavano in base ai vecchi accordi 113 miliardi per la salute, e ne avranno solo 111, uno più di quest’anno, ma dovranno finanziarci almeno 2 miliardi di costi aggiuntivi, dai nuovi Livelli essenziali di assistenza al rinnovo del contratto di lavoro, al piano sui vaccini, ai farmaci innovativi. Sempre nel 2016 subiranno un taglio di altri 500 milioni grazie all’imposizione del pareggio di bilancio. Nel 2017-2019, poi, dovranno tagliare sulla sanità altri 15 miliardi, e quasi tutte rischiano un buco mostruoso di bilancio dopo la sentenza della Consulta, che ha bocciato l’uso dei prestiti avuti dallo Stato. Il decreto che con uno stratagemma contabile dovrebbe minimizzare l’impatto della sentenza è atteso da molti giorni. Forse vedrà la luce domani, ma intanto il danno, almeno per qualcuno, è fatto.
Il Piemonte ha un buco ormai certificato dalla Corte dei conti di 6 miliardi, che dovrà essere ripagato dai cittadini, anche se nell’arco di trent’anni. Per questo il presidente Chiamparino si è dimesso, giorni fa, e ieri ha confermato la sua decisione, che in un modo o nell’altro aprirà nuovi scenari sul fronte dei rapporti dei governatori con l’esecutivo. Finora Chiamparino era riuscito nella mediazione tra i governatori dialoganti con il Pd renziano, e quelli, ben più duri, del centro-destra. Un ruolo di equilibrio che prima la Consulta, e oggi la stretta sulla sanità, hanno molto indebolito e convinto il presidente del Piemonte a farsi da parte. La successione ora è aperta. E tra i candidati si accreditano i più renziani dei governatori, da Debora Serracchiani (vicesegretario Pd), al governatore dell’Emilia-Romagna, Davide Bonaccini.
Mario Sensini
Con a fianco il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e quello della Salute, Beatrice Lorenzin, Renzi ha escluso nella maniera più assoluta di essere disposto a riaprire i cordoni della borsa. E non c’è molto margine neanche sugli altri capitoli della legge di Stabilità appena arrivata in Parlamento. Padoan ieri l’ha difesa dalle critiche «selettive», che non tengono conto del quadro d’insieme, «sbagliate e distorte», e ha lasciato intendere in Parlamento che non ci saranno grandi spazi per modifiche.
Le pensioni saranno affrontate l’anno prossimo, ha detto il ministro, e sempre «senza indebolire» il sistema. Così come si cercheranno le risorse per i contratti del settore pubblico, ma nel 2017. Le clausole di salvaguardia che prevedono tra il 2017 e il 2018 gli aumenti dell’Iva non saranno eliminate, ma solo dimezzate.
La commissione Bilancio del Senato lavora su modifiche minime. «Il margine di manovra è di 300 milioni» conferma uno dei relatori, Federica Chiavaroli (Ap). Si tenta la cancellazione dell’Imu per le case date in comodato gratuito ai figli, di rafforzare la decontribuzione per i nuovi assunti al Sud, di limitare il taglio dei fondi previsto dalla Legge a carico di Caf e patronati (meno 100 milioni). Una delle poche cose certe è, per ora, la reintroduzione del limite di mille euro all’uso del contante per le transazioni eseguite nei «money transfer».
Per le Regioni, intanto, la strada è tutta in salita. Quest’anno hanno dovuto fare un taglio di 2,3 miliardi al Fondo sanitario, ma la Lorenzin ha detto ieri al Corriere.it che la spesa farmaceutica ospedaliera rischia di sforare di altri 2 miliardi. Per il 2016 le Regioni si aspettavano in base ai vecchi accordi 113 miliardi per la salute, e ne avranno solo 111, uno più di quest’anno, ma dovranno finanziarci almeno 2 miliardi di costi aggiuntivi, dai nuovi Livelli essenziali di assistenza al rinnovo del contratto di lavoro, al piano sui vaccini, ai farmaci innovativi. Sempre nel 2016 subiranno un taglio di altri 500 milioni grazie all’imposizione del pareggio di bilancio. Nel 2017-2019, poi, dovranno tagliare sulla sanità altri 15 miliardi, e quasi tutte rischiano un buco mostruoso di bilancio dopo la sentenza della Consulta, che ha bocciato l’uso dei prestiti avuti dallo Stato. Il decreto che con uno stratagemma contabile dovrebbe minimizzare l’impatto della sentenza è atteso da molti giorni. Forse vedrà la luce domani, ma intanto il danno, almeno per qualcuno, è fatto.
Il Piemonte ha un buco ormai certificato dalla Corte dei conti di 6 miliardi, che dovrà essere ripagato dai cittadini, anche se nell’arco di trent’anni. Per questo il presidente Chiamparino si è dimesso, giorni fa, e ieri ha confermato la sua decisione, che in un modo o nell’altro aprirà nuovi scenari sul fronte dei rapporti dei governatori con l’esecutivo. Finora Chiamparino era riuscito nella mediazione tra i governatori dialoganti con il Pd renziano, e quelli, ben più duri, del centro-destra. Un ruolo di equilibrio che prima la Consulta, e oggi la stretta sulla sanità, hanno molto indebolito e convinto il presidente del Piemonte a farsi da parte. La successione ora è aperta. E tra i candidati si accreditano i più renziani dei governatori, da Debora Serracchiani (vicesegretario Pd), al governatore dell’Emilia-Romagna, Davide Bonaccini.
Mario Sensini
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